Il lato oscuro del deep sea mining: pericolo inquinamento acustico per gli ecosistemi marini

Nei prossimi anni partiranno le estrazioni di metalli rari nelle profondità degli oceani: un’opportunità, anche per la transizione energetica, ma un rischio per la fauna e la flora marina, come dimostra uno studio pioneristico che ha provato a capire gli effetti del rumore sugli ecosistemi sottomarini.
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Gianluca Cedolin 25 Luglio 2022

L'anno scorso ti avevamo parlato del deep sea mining, che consiste in sostanza nell'estrazione dai fondali marini di metalli e terre rari come il cobalto, il rame, lo zinco, il litio e il nichel, a migliaia di metri di profondità. Si tratta di una tecnologia ancora in via di sviluppo, molto indietro rispetto all'estrazione offshore di petrolio e gas, ma che sin dai prossimi anni potrebbe iniziare a essere usata su larga scala. Se i metalli rari sono molto importanti per il nostro presente e futuro, anche per la transizione ecologica (servono per produrre turbine eoliche, pannelli fotovoltaici, batterie per le auto elettriche, smartphone), la loro estrazione dal fondo del mare comporta sicuramente dei rischi per l'ambiente e gli ecosistemi marini.

Considerate le elevatissime profondità (oltre i 3mila metri sotto il livello del mare) e lo stato dell'arte del deep sea mining, ancora poco praticato, finora è stato quasi impossibile per la scienza misurare l'interazione delle estrazioni con la fauna e la flora oceanica. Per la prima volta però è stato pubblicato su Science uno studio accurato e molto indicativo del possibile impatto acustico del deep sea mining, intitolato Noise from deep-sea mining may span vast ocean areas e curato da ricercatori dell'Oceans initiative (Stati Uniti), del National institute of Advanced industrial science and technology (Giappone), della Curtin University (Australia) e dell’University of Hawaii.

Per capire quali potrebbero essere gli effetti di attività estrattive marine, gli scienziati hanno usato come riferimento i livelli di rumore dei processi industriali attualmente esistenti nei mari, come l'estrazione di petrolio e gas o il dragaggio. In questo modo, sono riusciti a ipotizzare cosa potrebbe succedere quando i 17 operatori che hanno finora ottenuto le licenze per operare nella Clarion-Clipperton zone, un'area dell'Oceano Pacifico ritenuta tra le più ricche di metalli e terre rare.

Il risultato non è molto incoraggiante: basta infatti un'unica miniera sottomarina attiva per disturbare ogni forma vivente nel raggio di 500 chilometri, dal fondale fino alla superficie, mentre se tutte e 17 le aziende iniziassero a estrarre minerali nell'area, l'inquinamento acustico coinvolgerebbe un'area grande 18 volte l'Italia, pari a 5,5 milioni di chilometri quadrati. Nell'area immediatamente prossima alla miniera, tra i 4 e i 6 chilometri di distanza, i mammiferi marini rischierebbero danni gravi al loro comportamento. Per queste ragioni, gli autori dello studio hanno chiesto all'autorità Onu competente (l'International seabed authority) di non far operare più di una o due miniere sottomarine contemporaneamente, in attesa di studi più esaustivi.