Il riscaldamento delle acque e gli effetti sul nostro Pianeta: cosa sta succedendo e cosa succederà se non si interviene subito

Il surriscaldamento marino, diretta conseguenza del cambiamento climatico, ha a sua volta effetti devastanti sull’ambiente: scioglimento dei ghiacci, sbiancamento dei coralli, ecosistemi a rischio e fenomeni meteorologi marini estremi sono solo alcuni degli esempi che possiamo elencarti. Abbiamo sentito il parere degli esperti e abbiamo capito che la strada che si sta imboccando è quella giusta. Ma c’è ancora molto da fare.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Francesco Li Volti 20 Novembre 2020

Dagli anni '90 in poi, le temperature degli oceani hanno subito un'impennata, mostrando una “tendenza al riscaldamento a lungo termine, legata alle attività umane”. Secondo il rapporto dell'AEE "Cambiamenti climatici, impatti e vulnerabilità in Europa", a causa del riscaldamento globale e marino i ghiacciai si stanno sciogliendo, la copertura di neve e ghiaccio si sta riducendo, i modelli delle precipitazioni stanno cambiando, rendendo generalmente le regioni europee umide ancora più umide e quelle secche ancora più secche.

Allo stesso tempo, gli eventi climatici estremi, come ondate di caldo, forti acquazzoni e siccità, stanno aumentando in frequenza e intensità.

Fomentando la dispersione di gas a effetto serra, il riscaldamento globale produce effetti collaterali gravissimi: malori, incendi, fenomeni meteorologici estremi e, non ultimo, il surriscaldamento dei mari.

Un recente studio pubblicato sulla rivista Nature avverte, inoltre, che le ondate di calore marino stanno diventando più frequenti (34%) e durano più a lungo (18%). Oltre il 90% del calore prodotto dal riscaldamento globale è assorbito dagli oceani, da cui dipende il destino di molte specie viventi e la sicurezza di milioni di persone.

Le conseguenze sulla flora e la fauna marina

Fenomeni di erosione, mareggiate e inondazioni sono in aumento, e a essere danneggiati maggiormente sono le isole e le aree costiere. Ma non solo perché il riscaldamento e l'acidificazione delle acque rischiano di sconvolgere gli ecosistemi marini e di impoverire gli stock ittici da cui dipende il nostro sostentamento.

I coralli

Tra le conseguenze dell’attività umana c'è lo sbiancamento dei coralli e lo scioglimento dei ghiacci. Secondo Ernesto Azzurro, primo Ricercatore dell’Istituto per le Risorse Biologiche e le Biotecnologie Marine del CNR e Gian Marco Luna, Direttore dell’IRBIM del CNR:"Più che di effetti negativi si dovrebbe parlare di effetti catastrofici, alcuni dei quali già ben osservabili dalla comunità scientifica. Per fare un esempio, le barriere coralline, già fortemente colpite, potrebbero scomparire. L'ultimo report dell'IPPC parla di un declino del 70–90% con un incremento di 1.5°C di temperatura, e perdite sino al 99% in caso di aumento di 2°C".

Infatti lo sbiancamento dei coralli si verifica quando sono stressati dal calore, dalla luce o dall’inquinamento, perché espellono le alghe che li mantengono in salute. Ebbene, negli ultimi 30 anni la metà dei coralli del pianeta è morta e corriamo il grande rischio di perdere la maggior parte delle barriere coralline del mondo.

Il caso Groenlandia

A causa del riscaldamento delle acque, tra il 1992 e il 2018 la calotta della Groenlandia ha perso 3.800 miliardi di tonnellate di ghiaccio, contribuendo a un innalzamento del livello medio dei mari di circa un centimetro. Se la fusione continuerà ai ritmi attuali, i ghiacciai della Groenlandia faranno salire i mari del nostro pianeta di 7-13 centimetri entro la fine del secolo.

I pesci

Allo stesso modo il surriscaldamento delle acque, spesso inavvertito dall'uomo, è determinante per la vita delle creature marine, che migrano alla ricerca dell'habitat ideale. E così, non è raro scoprire la presenza di specie nuove all'interno di particolari ecosistemi, messi inevitabilmente fuori asse e a rischio dalla loro presenza. Il riscaldamento delle acque oceaniche e la loro crescente acidificazione, causata dall’assorbimento di oltre un quarto delle emissioni di CO2 provocate dall’attività dell’uomo, comportano livelli di ossigeno più bassi e scarsa disponibilità di sostanze nutritive.

A tal proposito, Cristina Di Cmillo, ricercatrice presso il Dipartimento Scienze della Vita e dell'Ambiente dell’Università Politecnica delle Marche, sostiene: "I cambiamenti interesseranno l’intero ecosistema e di conseguenza anche l’uomo. L'aumento di temperatura porterà ad un incremento della salinità delle acque e a cambiamenti della circolazione nel bacino, che si rifletteranno sulla distribuzione dei nutrienti e del plancton, ossia l’insieme degli organismi come batteri o alghe unicellulari. Esso rappresenta un'importante fonte di nutrimento per molti animali marini presenti in acque. Una variazione nella composizione e nell'abbondanza del plancton avrebbe ripercussioni sull’intera catena alimentare, incluse le specie commerciali".

Per questo motivo, diverse specie di pesci stanno già abbandonando le zone tropicali per migrare verso i poli, alla ricerca di condizioni climatiche e ambientali in grado di soddisfare il loro fabbisogno di ossigeno e nutrienti. Il merluzzo, lo sgombro e l'aringa nel Mare del Nord migrano dalle loro zone storiche verso il nord, in acque più fredde, seguendo la loro fonte di cibo: i copepodi.

Secondo le stime della FAO, entro il 2050 è prevista una riconfigurazione geografica della pesca globale e una diminuzione della quantità di pesce che sarà possibile catturare senza danneggiare le riserve biologiche, già messe oggi a dura prova dalla pesca eccessiva.

Carlo Nike Bianchi, professore di Ecologia dell’Università di Genova, ci ricorda: "Nel Mediterraneo il surriscaldamento delle acque ha favorito l'introduzione di specie tropicali o subtropiali provenienti dal Mar Rosso e dall’Oceano Indiano attraverso il Canale di Suez, il cui allargamento in tempi recenti ha fatto scomparire la barriera salina dovuta alla presenza di ampi bacini ipersalati (i grandi Laghi Amari). Ciò ha comportato la presenza di specie che competono con le specie autoctone, spesso sostituendosi, essendo maggiormente aggressiva e facendo mutare la disponibilità di riserve ittiche fino ad allora presenti. Molti di questi non sono commestibili oppure sono forti predatori".

Le iniziative dell'Europa

Questi cambiamenti stanno sollecitando iniziative in tutta Europa: città e regioni si stanno muovendo, grazie all'adozione di soluzioni più sostenibili e basate sulla natura, intese a ridurre l'impatto delle inondazioni, e di usi dell'acqua più intelligenti. Per esempio i tetti verdi ricoperti di vegetazione ad Amburgo e Basilea e un numero maggiore di parchi verdi a Rotterdam possono servire come mezzo per catturare le acque di inondazione, oltre a raffreddare e fungere da isolamento termico.

"Ci sono molti Paesi che a parole fanno un grande sfoggio di "ambientalismo", ma all'atto pratico sono solo pochi quelli veramente impegnati nel contrastare questi fenomeni. Grandi riunioni nel palazzo di vetro, dichiarazioni di altissimo livello teorico che non si concretizzano se non in un incentivo per le auto elettriche o per i monopattini o le biciclette" – dice Francesco Cinelli, professore di ecologia marina presso l’Università di Pisa e Presidente del Scientific Council of the International School for Scientific Diving.

Mentre i Paesi più ricchi stanno investendo in nuove forme di protezione costiera (come i Paesi Bassi), questa situazione sta mettendo a rischio la sopravvivenza dei popoli degli Stati più poveri, che abitano in zone fra le più vulnerabili agli effetti dei cambiamenti climatici. In Bangladesh, dove le acque marine si stanno innalzando a oltre il doppio della media mondiale (8 millimetri contro 3,2) e dove ogni anno una porzione dal 30 al 50% del territorio viene allagata dall’acqua salata, il futuro di milioni di persone potrebbe essere quello di diventare dei rifugiati climatici.

C'è ancora speranza

Ma non tutto è perduto. Sembrerebbe che alcune politiche internazionali abbiano individuato la strada giusta. Se con l’Accordo di Parigi si vuole raggiungere l'obiettivo di mantenere il riscaldamento globale sotto i 1,5°C e col Green New Deal l'Europa si propone di diventare il primo continente carbon-neutral entro il 2050, le Nazioni Unite – "Hanno proclamato la Decade of Ocean Science for Sustainable Development (2021-2030), un decennio dedicato alle scienze marine per sostenere la protezione dei mari e degli oceani e lo sviluppo socio-economico in armonia con i loro equilibri ambientali"- come ricordano dal Cnr Gian Marco Luna e Ernesto Azzurro.

Fonti| FAO; Nature; AEE