In Italia i posti di lavoro nel settore della sostenibilità sono raddoppiati in 10 anni

L’Italia sul tetto del mondo per quanto riguarda la sostenibilità. Tanti i settori in crescita, dall’industria sostenibile al riciclo, fino alle fonti energetiche. Il rapporto di Symbola vede anche un forte aumento degli occupati: in dieci anni sono raddoppiati, raggiungendo quota 3,5 milioni. Un numero che ci invidia tutta Europa.
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Francesco Li Volti 13 Novembre 2020

Secondo i dati Istat pubblicati a ottobre, già a febbraio erano in calo gli occupati e in crescita il tasso di disoccupazione. Serve aggiustare rapidamente il tiro il prima possibile e l'alternativa più etica e giusta che rimane quella di investire nella green economy per risalire la china: raggiungere gli obiettivi ambientali, infatti, contribuirebbe non solo a una migliore qualità di vita e a una riduzione del nostro impatto sull'ecosistema, ma anche alla creazione di circa 800.000 nuovi posti di lavoro entro il 2025.

Posti di lavoro

Gli obiettivi strategici da perseguire riguardano una più efficace riduzione dei consumi di energia di abitazioni, scuole e uffici, un forte aumento delle fonti energetiche rinnovabili, un più rapido cambiamento verso l’economia circolare, una migliore qualità delle città con un programma di rigenerazione urbana e infine una mobilità urbana più sostenibile, in modo da abbattere l’inquinamento e la congestione del traffico. In tutto si tratta di mettere in campo investimenti per 190,3 miliardi di euro, in grado di generare 799.973 posti di lavoro entro il 2025.

Pare che i posti di lavoro più promettenti sono quelli legati alle fonti rinnovabili (+312.253 posti di lavoro) e all’economia circolare (+149.185).

Esaminando la necessaria spinta verso l'economia circolare, c'è l'urgenza di una svolta dal punto di vista normativo, ancora troppo lontano dai reali bisogni delle piccole start up. Occorrerebbe poi favorire con semplificazioni la consistente realizzazione di nuovi impianti per l'economia circolare e gli adeguamenti di quelli esistenti.

Prendiamo in esempio il riciclo dei rifiuti: i maggiori oneri derivati dall'aumento dei costi di investimento e di esercizio, dovuti alla crescita delle quantità di rifiuti riciclate e al miglioramento della qualità delle materie prime energetiche e dei prodotti riciclati, sono positivamente compensati dai costi evitati per il loro smaltimento, dai risparmi di costi per le materie prime vergini e anche dai minori costi energetici del riciclo rispetto all'uso di materie vergini.

Tutto questo mostra come sia arretrato il pregiudizio che porta a ritenere che ogni misura ambientale sia solo un costo economico e come, invece, servano misure ambientali efficaci per prevenire e ridurre costi crescenti generati dalla crisi climatica. E queste misure oggi possono risultare una formidabile leva di sviluppo sostenibile e di occupazione.

Naturalmente, non si tratta però di un risultato acquisito quanto di un auspicio legato alla necessità di adeguate politiche industriali e formative dedicate al comparto: la carenza di competenze specialistiche e la mancanza di know how, insieme all’eccesso di burocrazia, la difficoltà di accesso al credito e l’esistenza di una legislazione ancora stratificata e poco omogenea rappresentano infatti – secondo quanto emerso dal forum di GreenItaly di Symbola– i principali ostacoli alla transizione verde del nostro Paese. Ma queste tendenze sembrano assottigliarsi sempre di più, infatti come dice Enrica Arena, Co- founder di Orange Fiber: "Fortunatamente si trovano sempre più persone formate nel mondo della sostenibilità grazie ai numerosi corsi universitari e ai dipartimenti dedicati. Infatti la nostra azienda che vive del mondo del riciclo è cresciuta e da che eravamo solo in 2, ora ci troviamo a gestire fino a 10 persone, tra collaboratori interni e esterni".

In quest'ottica, un volano di sviluppo decisivo dovrà essere colto in campo europeo. La Commissione Europea, guidata da Ursula von der Leyen, ha infatti approvato un piano di investimenti da 1.000 miliardi di euro in 10 anni per rendere l'Europa il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050, un Green Deal all'interno del quale anche l'economia circolare dovrà rivestire un ruolo primario. Una svolta importante, apprezzata anche da Sfridoo, la startup che vuole proporre alle imprese italiane ed europee progetti innovativi circolari e strumenti operativi di mercato, eliminando il concetto di Rifiuto, parlando piuttosto di Risorse, e che da tre membri è passata a 8 collaboratori: "Quando l'Europa ha approvato il Green New Deal, le aziende sono diventate più ricettive e da quel momento Economia Circolare è diventato un trend molto importante, grazie anche all’ondata pandemica che ha rimesso al centro le questioni climatiche".

Secondo lo studio della Ellen Mc Arthur Foundation, la transizione economica circolare in tutti i settori, consentirà all'Europa un risparmio annuo fino a 550 miliardi di euro sul costo di reperimento dei materiali per il sistema manifatturiero, del quale non potrà che trarre giovamento anche un Paese storicamente povero di materie prime energetiche come l'Italia.

"Il nostro Paese, rispetto agli altri, ha una vocazione particolare verso la green economy. Siamo specializzati in settori come questi, per 2.000 anni abbiamo sempre vissuto in assenza di fonti di energia, ma l’efficienza della tradizione delle piccole e medie imprese ha portato in alto il nostro Paese. Le imprese medie hanno una proiezione verso il mercato internazionale: pensate ad esempio come la filiera del food sia riuscita a costruire una certa domanda basata sulle tradizioni, la territorialità e il km 0. Queste capacità innovative fanno parte del DNA dell'Italia"- afferma Antonio Massarutto, professore di Economia pubblica dell'Università di Udine e direttore di ricerca presso lo Iefe (Istituto di economia e politica dell'energia e dell'ambiente dell'Università Bocconi di Milano) e membro del SEEDS.

Purtroppo la burocrazia in Italia sembra ancora un fattore frenante e infatti il professor Antonio Massarutto continua: "La politica industriale deve agevolare il discorso. Se le imprese prosperano è perché sono in grado di intercettare le esigenze. Ma la mano invisibile dello Stato deve fare ancora passi da giganti per venire incontro ai bisogno delle piccole imprese green".

Segnali positivi

I dati parlano chiaro: un'impresa su tre ha imboccato la strada della sostenibilità. E questa scelta si traduce in una maggiore produttività e competitività e in più capacità di innovazione e di export. Un dato interessante è che a questa accelerazione stanno contribuendo molto anche le imprese dei giovani under 35, che, nella metà dei casi, hanno puntato sulla green economy. A proposito di under 35: sono circa 1,1 milioni i giovani inseriti nel mondo della sostenibilità in Italia, un dato che ci invidia tutta Europa.

Nei prossimi 5 anni, l'economia circolare e sostenibile offrirà una opportunità di lavoro su 5 sia nel settore privato, sia in quello pubblico. Solo nell'ultimo anno l'occupazione è aumentata del 19% contro l'8% dello scorso anno. In 10 anni in totale i posti di lavoro nel settore della sostenibilità sono praticamente raddoppiati.

Parliamo di numeri

Guardando anzitutto all'impennata nel 2019, anno in cui la quota raggiunge un valore pari al 21,5%, corrispondente a 300 mila imprese, i numeri dell'occupazione in Italia non hanno eguali. Un dato è che nel 2020 il numero dei green jobs abbia superato la soglia dei 3 milioni: 3.600.000 occupati, il 13,4% del totale dell'occupazione complessiva. L'occupazione green nel 2020 è cresciuta, con un incremento del +3,4% rispetto al +0,5% delle altre figure professionali, ovvero con un ritmo di crescita 7 volte più veloce.

Un ritmo che accelererà ancora nei prossimi anni, almeno a giudicare dalla componente anagrafica degli investitori. Tra le imprese manifatturiere guidate da under 35 il 47% ha fatto eco-investimenti, contro il 23% delle over 35 – e dal bisogno di solidità sociale nell’Italia dei nostri giorni: il 56% delle imprese green sono imprese coesive, che investono cioè nel benessere economico e sociale dei propri lavoratori e della comunità di appartenenza relazionandosi con gli attori del territorio.

In totale le aziende che producono beni o servizi ambientali (core green) e quelle che hanno adottato modelli green di gestione (go green) in quattro settori: industria, agricoltura, edilizia, commercio-servizi.

Le imprese core green rappresentano il 27% delle imprese italiane. Tra i settori, il maggior numero di imprese core green si registra in agricoltura (40,6%), nell’industria (35,4%), nell’edilizia (38,8%), dove ormai sono tante le aziende specializzate in riqualificazioni energetiche o soluzioni per la bioedilizia. Per le go green, che rappresentano il 14,5% del totale delle imprese italiane, il numero più alto si trova nell’industria (25,8%), mentre l’agricoltura rappresenta il 15,5%.

Finora quella della green economy italiana è stata una coraggiosa e vincente evoluzione di sistema avviata "dal basso", come la definisce il rapporto GreenItaly, a cui però non si è ancora affiancata una guida in grado di offrire una direzione di sviluppo alle singole eccellenze imprenditoriali presenti sul territorio. Il professore di Economia Politica dell'Università di Pisa e curatore del sito www.people.unipi.it Tommaso Luzzati dice: "L'impegno delle istituzioni, a cominciare dalla Nazioni Unite, e delle tante associazioni e organizzazioni non governative hanno contribuito a diffondere l'idea di sostenibilità. Ovviamente un ruolo decisivo lo sta svolgendo l'accessibilità all'informazione (tra cui anche tante fake, purtroppo), ma anche l'aggravarsi dei problemi sociali e ambientali".

Fonti| Fondazione per lo sviluppo sostenibile; Rapporto GreenItaly 2020 ; Istat; Ellen Mc Arthur Foundation; Ministero dello Sviluppo Economico