In Perù è emergenza ambientale: 6mila barili di petrolio in mare in seguito all’eruzione dell’Hunga Tonga

L’esplosione del vulcano Hunga Tonga ha provocato onde anomale che hanno raggiunto aree distanti anche migliaia di chilometri. Tra le conseguenze, anche la rottura degli impianti di una delle più grandi raffinerie del Perù, che ha provocato uno dei più grandi disastri ambientali che il Paese abbia conosciuto in tempi recenti.
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Giulia Dallagiovanna 24 Gennaio 2022

Il Perù ha dichiarato l'emergenza ambientale a causa del versamento in mare di 6mila barili di greggio, avvenuto il 15 gennaio scorso, subito dopo l'eruzione del vulcano Hunga Tonga-Hunga Ha’apai. La colpa sarebbe da attribuirsi proprio alle onde anomale che l'esplosione ha innescato e che hanno raggiunto coste anche a migliaia di chilometri distanza dal punto in cui si trova il vulcano sottomarino. Una di queste è la spiaggia di Cavero, nel distretto di Ventanilla, a meno di 15 minuti dalla capitale Lima.

Qui vicino si trova infatti una delle più grandi raffinerie del Paese, la Pampilla di Callao, di proprietà dell'azienda spagnola Repsol. L'incidente è avvenuto durante la operazioni di scarico di una petroliera italiana, la Mare Doricum, per rifornire proprio lo stabilimento. A quel punto, però, uno snodo delle tubature che si trovano sul fondo dell'Oceano Pacifico dovrebbe essersi rotto in seguito alla forza d'urto esercitata dalle onde anomale che nel frattempo avevano raggiunto il Perù. La conseguenza è, a detta del presidente Pedro Castillo, il disastro ambientale più preoccupante che abbia coinvolto le coste del Paese in tempi recenti. Il petrolio ha già contaminato 21 spiagge e 18mila chilometri quadrati di aree protette, mentre sono morte decine di uccelli e specie marine.

Il petrolio ha contaminato 21 spiagge e 18mila chilometri quadrati di aree protette

Secondo un rapporto della Direzione generale per la qualità ambientale, si è già verificato un impatto significativo sull'ecosistema marino costiero, sulla biodiversità e sulle risorse idrobiologiche. Inoltre, è stata messa a rischio la salute pubblica delle persone che abitano in quella zona.

Lo stato d'emergenza rimarrà in vigore per tre mesi e nel frattempo sono già partite le operazioni di pulizia delle spiagge, con fondi staordinari per sostenere un Piano di azione immediata con l'intento di limitare al massimo il danno all'ambiente e agli abitanti del luogo.

Parallelamente è in corso un'indagine per accertare le responsabilità dell'azienda Repsol, che ha già dichiarato la propria estraneità all'accaduto, specificando di aver mobilitato squadre di tecnici e sommozzatori per verificare i danni e recuperare parte del greggio finito in mare. Ma l'accusa sulla quale si muovono gli inquirenti è stata esplicitata dalla prima ministra Mirtha Vásquez, secondo cui l'azienda non avrebbe avuto un piano di emergenza adeguato per la gestione di grosse perdite e avrebbe fatto scattare le misure di contenimento del petrolio troppo tardi.