Inquinamento marino: la luce del Sole sgretola la plastica galleggiante in microframmenti invisibili che finiscono sui fondali

Secondo un nuovo studio, circa il 2% della plastica che galleggia sugli oceani scompare ogni anno dalla superficie, trasformandosi lentamente in nanoparticelle: una parte di queste viene degradata dai batteri, mentre un’altra resta invisibile in profondità.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Martina Alfieri 7 Febbraio 2023

Anche il Sole ci aiuta a contrastare l’inquinamento marino (o almeno una parte di esso). Un nuovo studio è riuscito a dimostrare che, se esposta a lungo alla luce del Sole, la plastica galleggiante sulla superficie del mare degrada fino a scomparire in nanoparticelle invisibili, che raggiungono i fondali.

Quella che arriva dal Royal Netherlands Institute for Sea Research è una buona notizia a metà. Secondo la ricerca, pubblicata su Marine Pollution Bulletin, infatti, la luce del Sole libera ogni anno le acque superficiali da oltre l’1.7% dei rifiuti di plastica attraverso la fotodegradazione.

Una parte delle nanoparticelle invisibili viene eliminata completamente da alcuni batteri, mentre un’altra permane sui fondali, contribuendo a contaminare l’ecosistema marino.

Come ricordano i ricercatori, oggi nelle acque degli oceani troviamo solamente una piccola percentuale della enorme quantità di plastica dispersa a partire dagli anni Cinquanta. Si tratta del Missing Plastic Paradox – «il paradosso della plastica mancante».

Per spiegare questo fenomeno, gli autori dello studio hanno dimostrato attraverso degli esperimenti quale effetto possano avere sulla plastica i raggi UV provenienti dal Sole. In un contenitore, hanno simulato l’acqua marina e mescolato poi al suo interno piccoli pezzi di plastica, sotto una lampada che imitava la luce UV.

In parte, la plastica si scompone in sostanze che possono essere completamente decomposte dai batteri. Ma per un'altra parte, la plastica rimane nell'acqua sotto forma di nanoparticelle invisibili – spiega Helge Niemann, docente dell’Università di Utrecht – Gli effetti precisi di queste particelle su alghe, pesci e altre forme di vita negli oceani sono ancora poco chiari. Con questi esperimenti alla luce UV, possiamo spiegare un'altra parte del paradosso della plastica ma dobbiamo continuare a indagare sul destino della plastica rimanente”.

Microplastiche e nanoplastiche rappresentano un aspetto dell’inquinamento marino ancora da esplorare. Di recente, però, uno studio dell’Università di Catania è riuscito a dimostrare come anche i pesci abissali entrino in contatto con queste minuscole particelle di plastica nocive: ingannati dal loro aspetto, le ingeriscono scambiandole per cibole ingeriscono scambiandole per cibo.