ISPI risponde a Ohga sui retroscena della COP27. Oberti: “Putin era assente, ma la Russia era più che presente a porte chiuse”

Con il contributo dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI) analizziamo i risultati di questa Cop, cosa è successo a porte chiuse e quali sono gli sviluppi sotto il punto di vista degli scenari geopolitici futuri.
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Francesco Castagna 23 Novembre 2022
Intervista a Benedetta Oberti Esperta ISPI

Il clima e le politiche energetiche hanno da sempre condizionato la storia del mondo. Tuttavia, anche se la sensibilità sui temi ambientali è aumentata significativamente nell'ultimo decennio, una guerra alle porte dell'Unione Europea sembra aver svegliato le coscienze non solo dei governi internazionali, ma anche dei cittadini, sulla necessità di attuare una seria politica di transizione energetica volta ad abbandonare i combustibili fossili.

Durante la Cop27 abbiamo assistito a numerosi discorsi dei Capi di Stato, che sono intervenuti nel corso del summit, ma riuscire a interpretare i posizionamenti geopolitici delle nazioni dalle politiche sull'energia è un altro conto. Cosa è successo nelle ore e nei giorni successivi dopo "L'umanità deve scegliere: cooperare o perire. Quindi o è un Patto di solidarietà per il clima o un Patto di suicidio collettivo" del Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres? Cosa si cela dietro ai posizionamenti sul Loss and Damage dei vari Paesi? Come sono andati i tavoli delle trattative, portate avanti per giorni dai delegati dei diversi Paesi?

Proprio per approfondire tutti questi retroscena, abbiamo chiesto a Benedetta Oberti dell'ISPI, laureata in Scienze internazionali (Cina e studi globali) presso l'Università di Torino e Gestione delle risorse e dell'ambiente (Energia e clima) presso la Vrije Universiteit di Amsterdam, di aiutarci a comprendere meglio lo scenario.

Alla luce dei risultati della Cop27, che peso hanno le potenze mondiali assenti (Russia, Cina, India) nella definizione dello scenario globale sotto il profilo energetico?

È vero che alla Cop27 non erano presenti i leader di Russia, Cina e India (assenti erano anche quelli di Australia, Canada, Giappone, Messico e Turchia, etc), ma questo non significa che questi paesi non abbiano partecipato alla Cop. Erano sì assenti i leader, ma ciascun paese ha comunque mandato una propria rappresentanza. La Cop è la Conferenza dei paesi che hanno sottoscritto il Trattato internazionale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (l’UNFCC, United Nations Framework Convention on Climate Change) e in quanto tale vede per forza di cose la partecipazione di tutti i paesi firmatari.

Un paese potrebbe decidere di non prendere parte ad una COP e slegarsi dagli obblighi degli accordi decisi al temine di ciascuna conferenza, ma prima dovrebbe rescindere il trattato. Così avevano fatto gli USA, primo e unico paese ad essere usciti dagli Accordi di Parigi (ancillari all’UNFCC). Era stata una mossa di Trump, poi Biden, non appena rieletto, ha subito fatto marcia indietro e ha riportato gli USA all’interno degli Accordi. In quanto leader di un paese, non partecipare ad una Cop manda sicuramente un segnale politico importante.

È come dire: “il clima e l’ambiente non sono una mia priorità, non credo nell’importanza della Cop e non mi scomodo per partecipare ai negoziati”. Ma Russia, Cina e India hanno lo stesso partecipato ai negoziati tramite le loro delegazioni e hanno fatto sentire la propria voce. Si veda ad esempio la spinta da parte dei rappresentanti indiani per raggiungere un accordo che prevedesse la riduzione non solo dell’utilizzo di carbone come fonte energetica, ma di tutte le fonti fossili. Xi non è andato in Egitto, ma ha discusso di clima nel primo incontro con Biden avvenuto a latere del G20 a Bali e inoltre era presente alla Cop27 con il suo inviato per il clima, Xie Zhenhua.

Per quanto riguarda la Russia, Putin aveva anticipato la propria assenza sottolineando che non credeva che da questa Cop sarebbero uscite decisioni importanti. Tutte le forze di Mosca, comprese quelle politiche e diplomatiche, sono dispiegate sul fronte ucraino. Ma la Russia ha comunque partecipato alle trattative tramite suoi inviati di rango governativo. Quanto deciso durante questa Cop27 vale per tutti i 197 paesi membri dell’UNFCC, a prescindere dalla decisione dei leader politici di parteciparvi o no.

Gli altri leader sono rimasti per tutta la durata delle trattative della Cop, come viene vista l’assenza in quei momenti cruciali dell’Italia? Basta il delegato italiano, o è stata notata?

Riguardo la presenza dei leader c’è da fare chiarezza su un punto: durante le Cop i leader (intesi i capi di Stato o di governo) si presentano all’apertura dei lavori e/o alla conclusione per fare i saluti e pronunciare discorsi di occasione e programmatici. Poi però le negoziazioni vere e proprie, dove vengono discussi i dettagli, quelle che durano ore e che spesso si protraggono allo sfinimento, sono portate avanti dai ministri o dai tecnici. Esempio: è vero che Biden era presente alla Cop27, ma è arrivato solamente il quinto giorno, ha pronunciato il suo discorso, e poi se n’è andato.

Durante tutto il resto del tempo gli USA sono stati rappresentati da delegati del governo, sono loro ad aver portato avanti le trattative, non Biden. Lo stesso è valso per tutti gli altri paesi. Detto ciò, il problema per quanto riguarda la presenza dell’Italia non è dato tanto dal fatto che Giorgia Meloni si sia presentata alla Cop solamente il primo giorno. Questo è normale e previsto dalla ritualità delle Cop. Il problema è un altro, anzi sono due.

Primo: a rappresentare l’Italia c’era il nuovo ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Pichetto Fratin, ma anche lui è rimasto poco sul campo e la sua presenza è stata tutt’altro che incisiva. Ha tenuto un incontro bilaterale con l’inviato USA per il clima Jhon Kerry, ma Fratin non parla inglese e di clima e ambiente non è un esperto (ha una laurea in commercio ed economia è si è sempre occupato di industrie e imprese). Data l’inesperienza del ministro non stupisce quindi che l’Italia si sia presentata a questa Cop senza alcuna proposta concreta.

Per fare qualche esempio: la Germania ha presentato insieme al Ghana il Global Shield against Climate Risk (una sorta di fondo assicurativo per risarcire i paesi vittime dei danni dei cambiamenti climatici); la Francia si è schierata dalla parte della premier di Barbados Mia Mottley e della sua Bridgetown Initiative (l’idea di riformare il sistema di debito del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale a favore dei Paesi più poveri). Tolti i giorni in cui erano presenti Meloni o Fratin, a rappresentare l’Italia in Egitto non è rimasta nessuna figura di governo. Solo tecnici guidati dall’inviato per il clima Alessandro Modiano, che però non ha alcun ruolo politico.

Risultato: l’Italia ha tenuto un profilo basso, e non si è fatta avanti sui temi caldi (e cari) di questa Cop (la finanza climatica, l’eliminazione delle fonti energetiche fossili).

Secondo: come diretta conseguenza di quanto appena detto, all’Italia non è stato affidato nessuno dei gruppi di lavoro che servono per definire la posizione dell’Unione Europea durante i negoziati e subirà quindi in modo passivo quanto deciso da altri paesi. Infatti, per quanto riguarda i trattati internazionali è l’UE come blocco ad avere competenza, non i singoli paesi. Ciononostante, per prassi a rappresentare la posizione dell’UE ai vari tavoli negoziali durante la Cop siedono gli inviati degli stati membri.

Ad Austria e Svezia è stata affidata la questione dell’adattamento agli effetti dei cambiamenti climatici; Belgio e Germania hanno trattato per conto dell’UE di riduzione delle emissioni; Olanda e Lussemburgo hanno discusso di finanza climatica. L’Italia è rimasta a mani vuote.

In quanto parte del G7, il gruppo degli Stati economicamente avanzati, la di fatto non presenza dell’Italia ai tavoli negoziali si è fatta notare. Il nostro paese è rimasto in silenzio, ma in questi casi il
silenzio comunica molto (mancanza di strategia, mancanza di visione, mancanza di interesse).

Quanto è possibile parlare di phase down dei combustibili fossili, se la Russia è stata assente nella definizione dell’Accordo?

Assente era Putin, ma altri rappresentanti di Mosca erano presenti alla Cop27, e anzi si sono fatti sentire. A porte chiuse la Russia, in prima linea insieme all’Arabia Saudita, ha fatto pressioni affinché nel testo finale dell’accordo non vi fossero riferimenti ai combustibili fossili come causa diretta dei cambiamenti climatici.

E infatti, alla fine, complice anche il lavoro della presidenza egiziana, nel documento conclusivo della Cop27 si incoraggiano gli stati a promuovere non solo le fonti energetiche rinnovabili, ma anche quelle a basse emissioni. Quest’ultima è una chiara scappatoia per permettere agli stati di utilizzare il gas (al terzo posto dopo carbone e petrolio come fonte di emissioni tossiche).

Il governo del Cairo sembra aver portato a casa due risultati, la guida dei Paesi africani da una parte, ottenendo il fondo Loss and Damage e un phase out timido che comprende anche il gas naturale (che potrebbe rappresentare una scappatoia). A livello geopolitico è la stessa cosa? L’aver ottenuto questi risultati avrà un peso nei rapporti tra l’Egitto e gli altri leader africani?

Per due settimane l’Egitto ha fatto parlare di sé, ma da qui a pensare che il regime di Al Sisi possa diventare il capofila dei paesi africani il passo è lungo. È vero, l’Egitto ha lanciato l’ “Africa Just and Affordable Energy Transition Initiative” volta ad aumentare la disponibilità di energia pulita e la quota di rinnovabili nel mix energetico dei paesi africani. Tuttavia, oltre a questa iniziativa l’Egitto non si è presentato con alcuna strategia di mitigazione e adattamento per il continente e si è mosso a difesa dei propri interessi nazionali.

Sono altri i leader che sono emersi in questa Cop27, mi viene in mente a esempio Mia Mottley, Primo ministro di Barbados. Con la sua Bridgetown Initiative per facilitare l’accesso al credito, è lei ad essere diventata paladina dei paesi più vulnerabili (fra i quali quelli africani). Inoltre, l’Africa fa parte del G77, il gruppo delle Nazioni Unite formato dai paesi in via di sviluppo e capeggiato dalla Cina (sebbene la Cina sia ormai una potenza economica). Vedo difficile che l’Egitto possa in qualche modo prendere il posto di Pechino, e questo per mancanza di appeal economico, oltre che politico.

Come è possibile capire i posizionamenti geopolitici, tramite le dichiarazioni dei leader durante la Cop?

Durante questa Cop27 alcuni paesi hanno avanzato proposte per combattere la crisi climatica, altri hanno dimostrato di anteporre gli interessi economici di breve periodo a quelli ambientali e sociali, e altri ancora hanno mantenuto un profilo basso e non hanno preso posizione. A partire dalle dichiarazioni dei leader in merito alle proposte di politiche di mitigazione e adattamento e di finanza climatica è possibile ricondurre a grandi linee ciascun paese ad uno di questi tre gruppi, cartina tornasole dei posizionamenti a livello internazionale degli stati parte dell’UNFCC.

Biden e i leader europei hanno dato chiari segnali di voler perseguire la strada della lotta ai cambiamenti climatici. Anche la Cina ha dato segnali in questo senso, mi viene ad esempio in mente il fatto che l'inviato per il clima cinese – Xie Zhenhua – abbia preso parte ad un incontro ministeriale organizzato a margine della Cop27 da USA e UE per discutere dell’accordo di riduzione delle emissioni di metano del 30% entro il 2030.

Dalla parte opposta ci sono paesi come la Russia o l’Arabia Saudita che hanno cercato in tutti i modi di bloccare un accordo per eliminare o quanto meno ridurre la produzione di combustibili fossili. In ogni caso, quando in gioco c’è una tematica così complessa come quella dei cambiamenti climatici è difficile delineare schieramenti netti. Più spesso accade che le alleanze fra i paesi siano fluide e varino a seconda della tematica in oggetto. E così può succedere che alcuni paesi si trovino d’accordo quando di tratta di ridurre le emissioni di metano, ma siano invece in disaccordo là dove la questione è mettere al bando il petrolio.

In tutto ciò, è realistico parlare di disgelo tra USA e Cina dopo l’approvazione del testo finale?

Per capire quanto c’è di realistico quando si parla di disgelo fra USA e Cina è bene farlo alla luce di tutti recenti avvenimenti e non solo di quanto avvenuto in occasione della Cop27. Di certo l’incontro
fra Biden e Xi a latere del G20 in Indonesia, in cui i due paesi hanno anche parlato di clima, ha dato un segnale positivo, ma forse non è abbastanza per poter parlare di disgelo. Le relazioni fra le due potenze sono tese da quando la Cina ha fatto capolino sullo scenario internazionale con un progetto tutto suo per gestire l’ordine mondiale. Un progetto diverso e che si oppone a quello a guida stelle e strisce.

Nell’ultimo periodo le relazioni si sono inasprite a causa della visita della presidente della Camera USA Nancy Pelosi a Taiwan. Ma i rapporti erano già tesi e lo rimarranno finché non si chiuderanno alcuni dossier cruciali: la competizione nel settore dei semiconduttori e dei microchip, il rispetto dei diritti umani in Cina, la guerra commerciale e le sanzioni, o i rapporti di forza nel Pacifico.

Forse parlare di disgelo in questo momento è ancora prematuro. L’incontro Biden – Xi non simboleggia la fine della competizione fra le due potenze ma la consapevolezza da parte dei due
leader che tale competizione vada gestita tramite la definizione di regole e barriere di sicurezza per scongiurare il rischio di un conflitto.

Sotto il profilo energetico, se dobbiamo abbandonare i combustibili più inquinati, come faranno le potenze mondiali ad affermare la propria supremazia sugli altri Stati? Le rinnovabili possono essere una nuova strategia per costruire nuovi rapporti di forza? Penso alla Cina, come si muoveranno UE e USA?

Come per tutte le risorse scarse, non distribuite in modo uniforme fra gli stati, ma di cui tutti hanno bisogno, certamente anche le rinnovabili potranno diventare il nuovo pivot attorno al quale si costruiscono rapporti di forza fra i paesi. È uno sviluppo che in realtà sta già avvenendo. Sono ormai noti a tutti gli investimenti della Cina in progetti energetici in Africa. Nel primo periodo Pechino era impegnata per  lo più nella costruzione di centrali a gas o a carbone, ora la presenza cinese nel continente si sta espandendo verso progetti che hanno a che vedere con le rinnovabili: eolico, solare e idroelettrico.

Questo è un segno del fatto che la Cina sta cercando di acquisire un vantaggio per quanto riguarda l’approvvigionamento di energia da fonti alternative a quelle fossili. Nella stessa direzione si stanno muovendo alcuni dei maggiori fondi sovrani al mondo. Il fondo sovrano norvegese (enorme, gestisce circa mille miliardi di asset) ha iniziato a investire nelle energie rinnovabili e ha abbandonato alcuni dei suoi tradizionali affari nel settore delle fonti fossili. Ugualmente ha fatto il più grande fondo sovrano dell’Oman. In generale, c’è una tendenza a diversificare i portafogli finanziari e cercare opportunità in settori alternativi a quelli del petrolio, gas o carbone. Il motivo è che si prevede una graduale perdita di valore degli asset fossili e un aumento di quelli che poggiano su progetti verdi.

Anche l’Italia sta ridefinendo le proprie partnership nel settore energetico e cerca nuovi fornitori che possano sostituire la Russia. Il governo italiano ha recentemente stretto un accordo con l’Algeria: il paese fornirà all’Italia 4 miliardi di metri cubi di gas. Il gas non è una fonte rinnovabile, ma la mossa dimostra comunque come i rapporti di forza fra i paesi siano fluidi e spesso seguano la distribuzione delle risorse scarse e necessarie. Quindi, quello a cui stiamo assistendo è che paesi che prima avevano poca voce in capitolo sulla scena mondiale, ora stiano acquisendo un ruolo più importante, e con esso potere. L’Algeria è diventato il maggiore paese africano esportatore di gas verso l’Europa. Questo avrà sicuramente delle conseguenze quando l’Algeria avrà bisogno di far valere i propri interessi con l’Europa.

 Se davvero il mondo si muoverà verso l’eliminazione di energia da fonti fossili, le tradizionali potenze mondiali saranno in grado di mantenere la supremazia solamente se riusciranno ad assicurarsi il primato nella produzione di energia rinnovabile.

Questo significa che dovranno aumentare i propri investimenti in fonti alternative a quelle fossili. Alcuni esempi: quest’estate Biden ha firmato l’Inflation Reduction Act, un piano di investimenti gigantesco (quasi 400 miliardi di dollari solamente per clima ed energia) che mira a sostenere la transizione energetica e la lotta al cambiamento climatico, nonché rafforzare la sicurezza energetica ed economica statunitense (sicurezza che, sottolineo, viene legata alla produzione di energia da fonti rinnovabili).

L’Unione Europea ha il suo Green Deal, rafforzato poi dai fondi del Next Generation EU, fra i cui pilastri c’è quello di legare il rafforzamento della competitività e della resilienza dell'economia europea sul piano internazionale alla transizione energetica e alla lotta ai cambiamenti climatici.