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Jeans e inquinamento: quel capo d’abbigliamento sempre di moda che distrugge l’ambiente

È uno dei tessuti più usati e prodotti, ha attraversato anni e anni di mode, tendenze, movimenti sociali, correnti artistiche e politiche. Con il denim, il materiale con cui vengono prodotti i jeans, tutti abbiamo avuto a che fare almeno una volta nella vita. È piacevole da vedere, comodo e costa poco. Eppure l’impatto ambientale della sua produzione è enorme. Ed estremamente dannoso.
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Sara Del Dot 18 Maggio 2019

Qualunque sia il nostro stile, a prescindere dal fatto che seguiamo le tendenze modaiole oppure no, tutti noi nell’armadio teniamo almeno un capo di questo tessuto. Nella maggior parte dei casi, anche più di uno, tra pantaloni, giacche, scarpe e borse. Sto parlando di quel materiale che sei abituato a chiamare jeans, ma la cui denominazione corretta è denim, ovvero il materiale di cui il jeans è fatto. Un materiale che ha segnato la storia dell’abbigliamento e che non è mai, mai, mai passato di moda, sebbene abbia visto la luce oltre un secolo fa, a fine Ottocento. Un materiale diventato talmente presente nel mondo occidentale da essersi guadagnato una vera e propria tinta cromatica e, soprattutto, che non ha mai abbandonato il cuore delle persone. Infatti, a partire dalla sua nascita e dai primi abiti con esso creati, non l’abbiamo mai dimenticato, riuscendo ad adattarlo a tendenze sempre nuove, alla moda del momento, alle correnti artistiche e ai movimenti politici e sociali.

Protagonista assoluto della rivoluzione sessuale degli anni ’70, ma anche della corrente punk, dei movimenti studenteschi e del pop anni Novanta, per poi attestarsi trasversalmente come abbigliamento casual per eccellenza, adatto a tutte le età. Dai pantaloni a sigaretta, a quelli a zampa di elefante, attillati, strappati, larghi, decorati, fino ai giubbotti, le salopette, borse e scarpe… Tutti amano i jeans. Sia perché siamo abituati a vederli, a indossarli e ad averli a disposizione nell’armadio, sia perché sono caratterizzati da un prezzo contenuto, in particolare se acquistati in qualche grande catena low cost, quei grandi negozi di fast fashion in cui è possibile comprare vestiti a basso prezzo e utilizzarli per una sola stagione.

Ma il prezzo che vedi sull’etichetta del capo in denim che stai osservando sul manichino non è lo stesso che caratterizza la sua produzione, che spesso avviene in luoghi molto lontani da quello in cui lo stai acquistando. Il prezzo dei jeans che stai per portare a casa in un sacchetto, in realtà, è molto più alto. In termini ambientali e di salute di chi, quei jeans, li sta realizzando apposta per te.

L’impatto ambientale e sociale del denim

Il prezzo che puoi leggere sul cartellino dei jeans può essere molto, ma molto variabile. Ci sono quelli realizzati da brand famosi, che dovrebbero garantire una produzione con materiali di eccellenza e che quindi possono arrivare a costare anche migliaia di euro, e quelli invece che trovi nelle bancarelle o nelle catene di fast fashion, che possono arrivare a costare anche 15-20 euro. Ma, come ho già detto, se il costo economico del denim può essere piuttosto ridotto, lo stesso non si può dire per quello ambientale e sociale della sua produzione.

Infatti, probabilmente non ne sei al corrente ma la produzione del denim comincia in mezzo ai campi di cotone. Solo per il denim viene consumato ogni anno circa il 35% della produzione mondiale di cotone. Essendo la domanda di abiti di questo tessuto in costante crescita, per garantire un raccolto sempre ricco e in salute viene fatto un utilizzo indiscriminato di pesticidi e sostanze chimiche, senza contare l’acqua necessaria per far crescere le piante. Per un chilo di fibre di riso, che corrisponde più o meno alla quantità necessaria per realizzare un solo paio di jeans, sono necessari 10.000 litri di acqua. Una quantità non indifferente, no? Ma l’impatto dell’industria dei tuoi amati pantaloni e giubbotti non finisce qui. Perché per diventare denim, il cotone cresciuto e raccolto deve attraversare diversi passaggi piuttosto invasivi e decisamente poco sostenibili, a livello ambientale ma anche sociale.

Una volta preso, infatti, il cotone viene prima di tutto colorato per raggiungere la famosa tinta "blu jeans”. Per raggiungere questa variante cromatica così particolare, all’acqua vengono aggiunti metalli pesanti e sostanze chimiche, che poi vengono sversate direttamente nei corsi fluviali della zona, raggiungendo il mare. Tieni presente che, soprattutto per il low cost, la produzione del jeans avviene spesso in luoghi del mondo in cui la manodopera costa pochissimo, caratterizzata spesso da lavoro minorile, e in cui non sono presenti impianti per uno smaltimento corretto di queste sostanze. In seguito alla colorazione, il tessuto viene tessuto, tagliato e cucito.

A quel punto il jeans è formato, ma deve passare attraverso altri processi per raggiungere gli effetti estetici desiderati in base al tipo di pantalone che si vuole ottenere. Queste lavorazioni sono quelle più pesanti, soprattutto per i lavoratori, costretti a respirare sostanze tossiche e a maneggiare prodotti potenzialmente cancerogeni. Si tratta dei lavaggi con pietra pomice, lo sbiancamento localizzato (che serve a ottenere il classico effetto vintage) per cui viene usato il permanganato di potassio (PP) e la sabbiatura, tecnica più volte denunciata come assolutamente nociva per la salute dei lavoratori, che in molti casi sono bambini, e quindi da molte aziende accuratamente sostituita da altre metodologie più etiche. A questo punto, il jeans è pronto. Ma a un prezzo molto più alto e importante dei 20 euro che tiri fuori dal portafoglio alla cassa del centro commerciale.

Se desideri approfondire l’impatto della produzione di prodotti di abbigliamento, ti consiglio la visione di River Blue, un documentario realizzato nel 2016 che indaga l’impatto della produzione industriale della moda in tutto il mondo, e l’inchiesta La Fabbrica dei Bambini, realizzata dalla giornalista Valentina Petrini per Piazzapulita sulle condizioni di lavoro dei bambini operai nelle fabbriche tessili turche, suddivisa in parte 1 e parte 2.

Un jeans più sostenibile esiste?

Soprattutto negli ultimi anni, grazie anche a numerose inchieste e documentari che hanno puntato i riflettori sui danni ambientali dell’industria del fast fashion, ma anche alle lotte delle varie associazioni ambientaliste, molte aziende hanno scelto di spingere maggiormente in direzione di una produzione di capi in denim più etica e rispettosa dell’ambiente e della salute dei lavoratori. Così, sono aumentati i materiali per la produzione derivanti da colture con ridotto uso di pesticidi, sostanze chimiche e con uno spreco di acqua contenuto. Ma anche i metodi di produzione e trattamento dei capi stanno subendo una metamorfosi. Da tinture ed effetti realizzate con prodotti naturali e poco impattanti, lavaggi biologici, tecnologie laser al posto delle sabbiature, tinture all’azoto.

Inoltre, alcune start up come ad esempio la toscana Rifò hanno scelto di recuperare gli scarti del denim o i jeans inutilizzati per realizzare nuovi capi d’abbigliamento come maglioni, la cui materia prima altro non è che denim in seconda vita.

Cosa puoi fare tu

È chiaro che le aziende produttrici debbano fare la propria parte nel trasformare una produzione così impattante in un’industria più etica per consentire a tutti gli amanti dei jeans di continuare ad acquistarli e sfoggiarli senza produrre un danno enorme al Pianeta o contribuire allo sfruttamento e alla morte di lavoratori anche piccolissimi. Tuttavia, dal momento che la produzione si muove anche e soprattutto sulla base della domanda, il tuo ruolo in quanto consumatore diventa fondamentale. Per contribuire alla rivoluzione sostenibile del denim, sono diverse le scelte che puoi compiere a livello individuale. Puoi, ad esempio:

  • Scegliere marchi etici che facciano dichiaratamente uso di materiale organico
  • Acquistare locale o comunque made in Italy
  • Lavare i jeans il meno possibile e a basse temperature, magari tenendoli rivoltati in lavatrice
  • Non buttare via il denim vecchio, rotto o inutilizzato. Se i tuoi jeans si sono strappati o non li vuoi più, ricordati che il denim è un materiale estremamente resistente e perfettamente riutilizzabile come materia prima. Cerca quindi qualche contenitore o start up che possa riutilizzare il tessuto per creare altri indumenti, oppure regalali a chi ne ha bisogno.

Fonte infografica: Shopalike