La deforestazione in Amazzonia non si ferma: ecco come i produttori di soia riescono ad aggirare la legge brasiliana

Un’indagine condotta da Bureau of Investigative Journalism, Unearthed e Repórter Brasil rivela come tre colossi dell’industria alimentare si siano riforniti di soia da aziende sospettate di essere collegate con la deforestazione illegale e con gli incendi boschivi che stanno devastando l’Amazzonia brasiliana.
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Federico Turrisi 22 Maggio 2021

Per nutrire bovini, suini e pollame negli allevamenti intensivi di tutto il mondo (anche qui in Europa) uno dei prodotti più utilizzati è la soia. E per produrre la soia in Brasile si stanno distruggendo ettari su ettari di foresta amazzonica e di cerrado. Domanda: come è possibile che le autorità brasiliane non intervengano per fermare questa devastazione? In parte, lo sappiamo, la deforestazione ha subito un'accelerazione da quando Jair Bolsonaro è diventato presidente del Brasile all'inizio del 2019. Un personaggio che non è certo considerabile come un ambientalista convinto.

Il problema però è anche un altro. Le leggi brasiliane per la protezione dell'ambiente, e in particolare dell'Amazzonia, non sono abbastanza efficaci e non riescono a impedire la vendita di prodotti – in particolare della soia – che sono frutto della deforestazione. È quanto emerge da un'inchiesta realizzata da Bureau of Investigative Journalism, Unearthed e Repórter Brasil che si basa sull’analisi di immagini satellitari incrociate con le informazioni contenute nei rapporti della polizia brasiliana.

In particolare, a finire nel mirino dei giornalisti investigativi ci sono tre giganti dell'agribusiness come Cargill, Bunge e Cofco. Questi ultimi si sarebbero riforniti di soia commercializzata da Fiagril, una compagnia di proprietà cinese, e dalla multinazionale Aliança Agrícola do Cerrado. Due realtà sospettate di fornirsi da un agricoltore multato più volte per aver distrutto aree di foresta pluviale per fare spazio alle monocolture di leguminose.

Per farla breve, la soia "sporca" legata alla deforestazione illegale dell'Amazzonia riuscirebbe a insinuarsi in catene di approvvigionamento internazionali apparentemente "pulite". E quindi chi, anche indirettamente, contribuisce a distruggere la natura riesce a farla franca. Il punto è che Fiagril e Aliança Agrícola do Cerrado, così come Cargill, Bunge e Cofco, hanno firmato la moratoria internazionale sulla soia e si sono impegnati a non “vendere, acquistare e finanziare soia proveniente da aree deforestate nel bioma amazzonico dopo il luglio 2008”. Stando a questa inchiesta però la realtà sembrerebbe un'altra. La foresta amazzonica rischia sempre più di essere sacrificata sull'altare del "dio denaro", per usare le parole di papa Francesco. Non ci rendiamo conto però che se continuiamo così non facciamo altro che avviarci all'autodistruzione.