La Foresta atlantica del Brasile ricomincia a crescere grazie alle popolazioni indigene

Restituire le terre forestali del Brasile ai legittimi proprietari non è solo una questione di rispetto dei diritti umani, ma è anche un grande passo per combattere la crisi climatica: la conferma in un importante studio condotto dall’University of Colorado Boulder.
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Roberto Russo 16 Febbraio 2023

Il riconoscimento del diritto alla terra alle comunità indigene aiuta a proteggere la biodiversità e a combattere il cambiamento climatico. Un esempio lamapante è la Foresta atlantica, la seconda foresta pluviale più grande del Brasile. Si estende su una superficie di circa 90.000 chilometri quadrati (all'incirca un terzo dell'Italia), di cui circa 3.000 chilometri lungo la costa atlantica, toccando 17 diversi stati brasiliani e grandi città come Rio de Janeiro e San Paolo. Purtroppo cinque secoli di disboscamento ne hanno ridotto la superficie a poco più di un decimo delle dimensioni originarie.

Oggi però, proprio grazie alle popolazioni indigene native di quell'area, la rotta è stata invertita e la foresta ha ricominciato a crescere. La conferma arriva da uno studio della University of Colorado Boulder, pubblicato sulla rivista Pnas Nexus

L'importanza del diritto alla terra

Quella condotta dall'University of Colorado Boulder “è la prima analisi rigorosa dell'effetto della proprietà sulle terre indigene nel bioma della Foresta atlantica, importante a livello globale”.

I ricercatori sono partiti da una constatazione, forse semplice ma necessaria: operazioni su larga scala come l'estrazione mineraria, l'allevamento di bestiame e i progetti idroelettrici reclamano sempre più spesso ampie porzioni di terra nei tropici, soprattutto quando non è chiaro chi ne sia il proprietario. Nella Foresta atlantica brasiliana, queste attività hanno allontanato le comunità locali, comprese le popolazioni indigene, dalle terre su cui avevano diritto.

Lo studio ha analizzato i dati relativi a 129 comunità indigene residenti nella Foresta atlantica che nel periodo tra il 1985 e il 2019 si sono visti riconosciuti i diritti alla terra. “Abbiamo riscontrato che i risultati forestali nelle terre indigene sono migliorati dopo il possesso rispetto a prima del possesso e che i risultati forestali sono migliorati nelle terre con possesso rispetto a quelle senza possesso. Abbiamo anche riscontrato che per migliorare i risultati forestali è necessaria una proprietà formalizzata, piuttosto che una proprietà incompleta”.

Risultati incoraggianti

Il nostro lavoro”, ha spiegato Rayna Benzeev, prima autrice del lavoro, “mostra che ogni anno successivo alla formalizzazione del diritto alla terra degli indigeni c'è stato un aumento dello 0,77% in copertura forestale rispetto alle altre terre”.  Una percentuale che può sembrare piccola, ma che anno per anno cresce e vuole dire avere molta, moltissima foresta in più.

Forse è lapalissiano, ma bisogna ribadirlo: il riconoscimento legale del “diritto alla terra” da un lato riduce lo sfruttamento del suolo e le violazioni dei diritti umani, dall'altro contrasta il cambiamento climatico e si muove a favore della biodiversità. E non è poco.