La Osborne Reef, la barriera di pneumatici a largo della Florida: un disastro ambientale che ci siamo creati

Nella primavera del 1974, due milioni di pneumatici furono volontariamente gettati in mare al largo della Florida per la creazione di una barriera artificiale con l’idea di proteggere le barriere coralline e l’ecosistema dell’area. In realtà, si rivelò un disastro ambientale che ancora non siamo riusciti a risolvere.
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Giulia Dallagiovanna 28 Aprile 2023

A largo della Florida, proprio sul fondo dell'Oceano Atlantico, si trova un cimitero di pneumatici creato volontariamente dall'essere umano. Oggi ciascuno di noi ha più o meno consapevolezza che i copertoni di automobili e camion rappresentino una fonte di inquinamento se non vengono smaltiti in modo corretto. Negli anni Settanta invece si ritenne una buona idea la creazione di una barriera artificiale nei fondali marini con questi materiali. In poche parole, si voleva risolvere il problema delle discariche illegali e quello della protezione della biodiversità con un'unica soluzione, quanto meno ingenua. E non è accaduto solo negli Stati Uniti. Strutture simili infatti si trovano anche nel Golfo del Messico, in Indonesia o in Australia. Ma come mai abbiamo deciso che fosse corretto affondare di propositi milioni di copertoni di veicoli a motore?

La barriera di pneumatici

La diffusione delle automobili su larga scala e il benessere economico dei decenni passati portarono all'affermazione di un rifiuto in particolare: lo pneumatico. Pneumatico che, semplicemente, non si sapeva bene dove mettere. Nella maggior parte dei casi, infatti, i copertoni finivano per essere abbandoanti in discariche illegali che costuivano un pericolo per l'ambiente e per la salute, a causa dei gas nocivi che si sprigionavano mentre le gomme iniziavano a degradarsi.

Questo era il panorama nella primavera del 1974, quando a largo di Fort Lauderdale, a poco più di mezz'ora di macchina da Miami, iniziarono le operazioni per l'edificazione della la Osborne Reef, la barriera artificiale. A guidare i lavori era la Broward Artificial Reef (BARINC), società nata precisamente a questo scopo, che promise tra le altre cose la creazione di una nuova area per la pesca sportiva. Ma la principale motivazione con la quale veniva pubblicizzata l'iniziativa era la protezione delle barriere coralline e delle creature marine in generale. Si riteneva infatti che, oltre a poter beneficiare di un muro che fungesse da scudo contro le correnti, gli pneumatici avrebbero finito per costituire un nuovo substrato sul quale potesse svilupparsi la vita nelle profondità.

Non solo. Alcuni messaggi facevano addirittura riferimento all'idea del riciclo di materiali inquinanti per finalità che facevano invece del bene all'ambiente. Nessuno insomma sembrava domandarsi se rifiuti che sulla terraferma producevano emissioni tossiche avrebbero potuto costituire un pericolo nei fondali oceanici.

Il progetto fu accolto da un'ondata di entusiasmo tale che un centinaio di proprietari di barchi si offrirono volontari per aiutare, mentre l'azienda americana Goodyear Tire & Rubber Company, la terza produttrice di pneumatici al mondo, si occupò di fornire il materiale necessario e donò uno pneumatico dipinto con vernice dorata per il giorno dell'inaugurazione.

I numeri del progetto sono impressionanti:

  • 2 milioni: gli pneumatici gettati sul fondo dell'Oceano, tenuti insieme da nastri di nylon e graffette di acciaio
  • 15 ettari: la superficie di fondale ricoperta dai copertoni
  • 20 metri: la profondità alla quale furono affondati
  • 2 chilometri: la distanza dalla costa.

Il disastro ambientale

Circa una decina di anni più tardi ci si rese invece conto che la Osborne Reef si stava rivelando un disastro ambientale. Il primo problema fu che gli pneumatici, non essendo ancorati in nessun modo al fondale, si muovevano a causa delle correnti e soprattutto in seguito ai cicloni, piuttosto frequenti in quell'area dell'Atlantico. Tanto per fare qualche esempio, nel 1995 un migliaio di questi finirono a largo di Pensacola, molto più a nord, a causa dell'urgano Opal. Tre anni più tardi, altre migliaia di pneumatici furono ritrovati lungo le spiagge della Nord Carolina dopo il passaggio dell'urgano Bonnie.

Muovendosi, inoltre, finivano per sbattere contro le barriere coralline, danneggiandole gravemente.

Al contrario delle previsioni, dunque, la Reef artificiale non divenne un nuovo substrato marino ma mise in pericolo l'ecosistema e la vita in quell'area di Atlantico. Oggi sappiamo, come ha dimostrato la IUCN (l'Unione internazionale per la conservazione della natura), che i pezzetti che si staccano dalle gomme delle automobili costituiscono quasi un terzo di tutte le microplastiche presenti nelle acque. Queste microplastiche vengono ingerite da pesci, molluschi e altri animali, mettendo a rischio la loro sopravvivenza. Non meno importante, rappresentano una gabbia per tante specie marine come gamberi o paguri eremita, almeno stando a quanto riportava uno studio del 2021 pubblicato su Royal Society Open Science.

Il recupero

Nonostante l'evidenza del disastro ambientale, le autorità americane ignorarono semplicemente il problema. Il primo tentativo di pulizia del fondale infatti avvenne solo nel 2001, su iniziativa della professoressa Robin Sherman della Nova Southeastern University. La National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), un'agenzia scientifica e normativa degli Stati Uniti, assegnò 30mila dollari alla sua impresa e Sherman recuperò 1.600 pneumatici. Troppo pochi, naturalmente.

Un muro però era stato abbattuto. A patire dall'anno successivo, le autorità ambientali della Florida gettarono le basi per un progetto di pulitura dei fondali più corposo, cercando la strada della collaborazione con le aziende. Nello specifico, proposero a chi con la propria attività arrecava danno agli oceani e alle barriere coralline di compensare attraverso il recupero di parte dei copertoni. Un'idea criticata dai movimenti ambientalisti e che comunque non portò a risultati significativi.

Nel 2007 finalmente prese l'avvio il programma DiveExEast 07, con il coinvolgimento dell'esercito americano e della guadia costiera, che misero in campo i più sosfisticati e avanzati sistemi di pulitura e rimozione di rifiuti inquinanti. Lo Stato della Florida garantì fondi per 2 milioni di dollari, stimando un arco di tempo compreso tra i 3 e i 5 anni. Nel 2009 però, con solo 73mila copertoni recuperati, l'operazione dovette fermarsi perché i militari furono convocati altrove. Ad ogni modo nel 2015 il programma vide una nuova ripresa, proseguita fino al 2019, con il più corposo recupero mai registrato: quasi 180mila pneumatici.

Oggi, facendo qualche calcolo, il fondale della Florida ospita ancora 1 milione e 750 mila copertoni. Di questi, si stima che diverse migliaia siano stati trasportati dalle correnti e distribuiti lungo tutta la costa est degli Stati Uniti.