La tragedia del Gleno: il disastro dimenticato di 100 anni fa che anticipò il Vajont, perchè la diga crollò?

Era il 1 dicembre del 1923 quando la diga in Val di Scalve, provincia di Bergamo, crollo e provoco la morte di oltre 350 persone. Tutt’ora, 100 anni dopo il tragico avvenimento non si sanno ancora con esattezza le cause dell’incidente. Proviamo scoprirle, grazie all’analisi del nostro esperto geologo Andrea Di Piazza.
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Mattia Giangaspero 1 Dicembre 2023
Intervista a Andrea Di Piazza Geologo specializzato in Green Management

Prima di iniziare il racconto, andiamo ancora più indietro di 100 anni. Era il 1916 quando la diga sul torrente Gleno fu completata. Il suo scopo era quello di produrre energia elettrica per le industrie e le abitazioni di tutta la zona della Val di Scalve, provincia di Bergamo. 

Per l'epoca si trattava di uno dei progetti e delle strutture all'occhiello dell'Italia: una diga grande, imponente, alta 43 metri e lunga 160, formata da 12 arcate in calcestruzzo armato appoggiate su piloni in muratura. Il bacino artificiale aveva una capacità di 6 milioni di metri cubi d'acqua.

Tuttavia, la diga presentava numerosi difetti progettuali e costruttivi, dovuti alla fretta, all'incompetenza e al risparmio dei responsabili della ditta Viganò e dell'ingegner Santangelo, che avevano modificato più volte il progetto originario senza le opportune verifiche. Inoltre, il controllo da parte del Genio civile era stato svolto in maniera approssimativa e superficiale.

Infatti ora toniamo a parlare di quel che accadde 100 anni fa. Era il  22 ottobre 1923, a causa di forti piogge, il bacino si riempì per la prima volta. Tra ottobre e novembre si verificarono numerose perdite d'acqua dalla diga, soprattutto al di sotto delle arcate centrali, che non appoggiavano sulla roccia. E poi il peggio…

Credit: WikiCommons

Una mattina presto, alle 7.30 del 1° dicembre 1923 la diga iniziò a sgretolarsi e poi crollò 

Sei milioni di metri cubi d'acqua, fango e detriti precipitarono dal bacino artificiale a circa 1.500 metri di quota, dirigendosi verso il lago d'Iseo. L'enorme massa d'acqua, preceduta da un terrificante spostamento d'aria, distrusse tutto quello che trovò sul suo cammino: paesi, centrali elettriche, ponti, chiese, cimiteri, ferriere, boschi e pascoli.

Il primo borgo a essere colpito fu Bueggio, poi le centrali di Povo e Valbona, il ponte Formello e il Santuario della Madonnina di Colere. Raggiunse in seguito l'abitato di Dezzo che fu praticamente distrutto. Circa 45 minuti dopo il crollo della diga la massa d'acqua raggiunse il lago d'Iseo.

I morti furono ufficialmente 356, ma i numeri sono ancora oggi incerti. Alcune fonti parlano di oltre 500 vittime, altre di circa 200. Molti corpi non furono mai ritrovati, altri furono sepolti in fosse comuni. I danni materiali furono ingentissimi, stimati in oltre 100 milioni di lire dell'epoca. L'intera provincia di Bergamo e parte di quella di Brescia furono sconvolte e sotto choc per la tragedia.

La tragedia del Gleno fu un evento drammatico che anticipò di quarant'anni quello del Vajont, ma che oggi è stato dimenticato da quasi tutti. Solo nel 2003, in occasione dell'80°anniversario, fu eretto un monumento in memoria delle vittime presso il luogo del disastro. Nel 2020 è stato inaugurato un museo dedicato alla storia della diga e della sua rovina, situato nella ex centrale elettrica di Dezzo. Un modo per ricordare e non ripetere gli errori del passato.

Adesso è arrivato il momento di aprire un altro capitolo di questa tragica vicenda: scoprire perchè è crollata.

E per farlo il nostro Andrea Di Piazza, Geologo specializzato in Green Management, ha provato a ricostruire le dinamiche del crollo. A cosa si può associare?

E questo lo diciamo, perchè sì ci fu un processo che andò in scena dal 1924 al 1927, ma per insufficienza di prove non si scoprì quale fu il reale problema e di chi fu la vera colpa.

Il commento di Andrea Di Piazza

"Il crollo della diga del Gleno è uno di quei disastri che si sarebbero potuti evitare. Il cedimento della struttura fu provocato da infiltrazioni d'acqua all'interfaccia tra la base dell'opera e la struttura sovrastante. Durante la costruzione dell'opera fu scelto un sistema misto ad archi multipli e a gravità (senza peraltro informare il Ministero dei Lavori Pubblici dell'epoca), molto probabilmente per risparmiare sui materiali e sui costi di lavorazione, con una parte della struttura non ancorata alla roccia. Complice un autunno molto piovoso, l'acqua ha trovato così una via preferenziale per fare breccia nella struttura e provocarne il collasso."