
C’è dell’argento sepolto sotto le acque del Mar Cinese Meridionale, e probabilmente anche nei fondali di altri oceani del mondo. Posa però bombola e boccaglio perché non si tratta proprio di una buona notizia.
Le enormi quantità di argento intrappolate nei sedimenti marini al largo della costa del Vietnam non rappresenterebbero solo un pericolo per molte specie marine, che mal sopportano questa sostanza.
I risultati dello studio pubblicati sulla rivista Geophysical Research Letters sono anche la chiara dimostrazione – l’ennesima – di come la crisi climatica spinta dalle attività umane stia alterando gli ecosistemi marini in maniera diretta e misurabile, impattando allo stesso tempo anche sulla diffusione degli oligoelementi. Ma andiamo con ordine.
Come il cobalto, lo zinco, il ferro e molti altri oligoelementi – ovvero sostanze presenti in minuscole quantità nell’ambiente che in diversi casi diventano micronutrienti essenziali per la vita – anche l’argento ha origine sulla terraferma e si riversa nelle acque di mari e oceani.
È una delle conseguenze dei fenomeni di erosione e del trasporto dalle rocce ai fiumi da parte dell’acqua piovana.
Trovandosi di fronte a questa forma di contaminazione, la scienza si è interrogata sugli effetti dall’argento nelle acque oceaniche.
Partendo dalla consapevolezza che, nella sua forma ionica, può risultare tossico per molte specie marine, un gruppo di ricercatori dell’Università di Tecnologia di Hefei in Cina ha provato a fare luce su come questa sostanza interagisca con gli ecosistemi oceanici più grandi.
Gli scienziati cinesi hanno quindi analizzato un nucleo di sedimenti dell’area di risalita del Vietnam, nella parte orientale del Mar Cinese Meridionale. Quando parlo di aree di risalita mi riferisco a delle regioni costiere in cui l’acqua più fredda risale dal fondale trasportando in superficie nutrienti e oligoelementi.
Ciò che hanno visto li ha molto sorpresi. Negli ultimi 3.200 anni, le quantità di argento sepolto nei fondali aveva subìto un netto aumento intorno al 1850, hanno scritto i ricercatori nello studio. Una tempistica non casuale visto che che coincide con l’inizio della Rivoluzione industriale e quindi con le immissioni di gas serra in atmosfera.
Le attività antropiche con le sue emissioni ha messo il turbo alla crisi del clima che, a sua volta, ha spinto verso l’altro le temperature globali e, tra le altre cose, ha pure intensificato i monsoni estivi dell’Asia Orientale: tutte circostanze che hanno favorito la risalita di nutrienti dalle profondità marine verso la superficie.
Il circolo vizioso è presto fatto. Depositandosi sul pelo dell’acqua, questi nutrienti alimentano la crescita di alghe e fitoplancton, che assorbono l'argento e altri metalli presenti nelle acque in cui vivono e crescono.
Al momento della morte, il fitoplancton si sfalda in tanti frammenti che si depositano nei sedimenti marini portando con sé dunque tuto l’argento di cui avevano fatto corta.
Un processo virtuoso al contrario che, quindi, ha aumentato la presenza di questa sostanza nei fondali marini molto più di quanto non succedesse già in passato. L’ennesima brutta conseguenza del climate change a cui provare ad adattarsi.
Fonte | "Global Warming Favors Rapid Burial of Silver in the Vietnam Upwelling Area" pubblicata il 13 agosto 2024 sulla rivista Geophysical Research Letters