Onestamente, ti sei mai chiesto a cosa possano servire le bucce di un frutto e ancor più nello specifico (forse per la loro consistenza?) le bucce delle banane? È possibile che debbano essere considerate come uno scarto, un rifiuto, un qualcosa da non poter utilizzare in altro modo? E attenzione, non sto parlando di semplice riciclo creativo.

Ecco se vuoi avere una risposta, anche semplicemente per soddisfare la tua curiosità, te la do subito. L'Università di Newcastle, la Northumbria University, grazie al dottor Jibran Khaliq, ha trovato una seconda vita alle bucce delle banane. Il loro studio ha dimostrato che le bucce di banana possono essere trasformate in combustibile verde, offrendo una soluzione sostenibile per la gestione dei rifiuti e la produzione di energia.

Vediamo adesso in che modo queste possano essere trasformate in energia. Esistono due diversi metodi: la pirolisi e la gassificazione. 

La pirolisi è un processo termochimico che decompone la biomassa in assenza di ossigeno. Questo processo produce biocarburante, bio-olio e gas di sintesi.

La gassificazione è un altro metodo per convertire la biomassa in energia. Questo processo avviene a temperature elevate (circa 1000°C) e trasforma le bucce di banana in gas chiamato syngas, una miscela di idrogeno, metano, monossido di carbonio e altri idrocarburi. Il syngas può essere utilizzato come combustibile per generare elettricità.

La conversione delle bucce di banana in combustibile verde offre numerosi vantaggi ambientali. Innanzitutto, riduce la quantità di rifiuti organici che finiscono nelle discariche, diminuendo così le emissioni di metano.

"Nel prossimo anno lavoreremo per sviluppare una nuova tecnologia di conversione dei rifiuti in energia che convertirà i rifiuti agricoli in energia pulita e conveniente. Questa soluzione porterà benefici all’industria tessile e alle comunità locali, oltre a migliorare la fertilità del suolo e la produzione alimentare attraverso la generazione di biofertilizzanti”- ha dichiarato il dottor Jibran Khaliq. 

Fonte| Northumbria University