Senti sempre più spesso parlare di economia circolare, ma forse sei anche tu tra tutti quegli italiani che non sanno cosa sia. Con questo termine si intende il modello di gestione del rifiuto che produce oggetti senza bisogno di nuovi materiali. In questo modo si risparmia energia, evitando di aggiungere ulteriori rifiuti in discariche e termovalorizzatori.
In questo campo, l’Italia è sempre stata considerata sulla strada giusta. Su tutto il territorio nazionale, infatti, ci sono centinaia di aziende che si occupano esclusivamente (o quasi) di recupero virtuoso dei rifiuti. Imprese che hanno reso l’economia circolare un vero e proprio business e consentono allo Stato di risparmiare una somma consistente in termini di gestione degli scarti. Eppure, qualcosa sembra non funzionare ancora come dovrebbe. E non a causa di limiti tecnologici. Infatti, nonostante nel 2018 sia stato approvato il pacchetto europeo sull’economia circolare, in Italia infatti ci sono ben 55 milioni di tonnellate di rifiuti (33% del totale complessivamente prodotto in Italia) in attesa delle norme End of Waste (Eow) che ne dovrebbero facilitare la gestione e il riciclo. In pratica è la lentezza della burocrazia a ostacolare e rallentare l’adozione di una filiera praticamente priva di lati negativi, che porterebbe numerosi vantaggi se solo lo Stato scegliesse di investirci. L’economia circolare, infatti, produce posti di lavoro, riduce le emissioni e i costi di trasporto e smaltimento dei rifiuti, diminuisce la produzione di plastica e mette sul mercato oggetti resistenti ed eticamente realizzati. Che fare, quindi, per incentivarla?
In occasione del convegno “La corsa a ostacoli dell’economia circolare in Italia” tenutosi a Roma il 6 febbraio 2019, l’associazione Legambiente ha lanciato una sfida al Governo e al Parlamento italiano, presentando un pacchetto di dieci proposte per trasformare i rifiuti da problema a risorsa.