
Lo scorso settembre, alle isole Faroe, venivano uccisi 1423 delfini dalla coda bianca, un numero considerato “insolitamente alto” anche dallo stesso governo dell’arcipelago danese. A distanza di una decina di giorni, si consumava un’altra mattanza, quella di 52 balene pilota, la cui carne è fonte di sostentamento per la popolazione locale.
La pratica brutale con cui erano state cacciati delfini e balene aveva portato diverse associazioni animaliste a richiederne la soppressione. Come dichiarato da John Hourston della Blue Planet Society alla testata tedesca Bild, veniva richiesta “un'azione urgente da parte dell'UE, della Danimarca e del Regno Unito per impedire alle europee Isole Faroe di devastare popolazioni protette di delfini e piccole balene”.
La caccia ai cetacei tramandata da secoli in questa area del mondo è abbastanza cruenta. I cacciatori circondano i delfini formando un semicerchio di barche da pesca e li conducono in una baia poco profonda dove inevitabilmente i delfini si arenano; a questo punto i cacciatori non hanno alcuna difficoltà a ucciderli dalla riva usando dei coltelli. La cosiddetta Grindadrap, ossia la caccia ai cetacei dalla riva, non è stata ancora vietata, ma un passo avanti forse è stato fatto.
È infatti recente la notizia riportata da Agi che la caccia ai delfini si limiterà a cinquecento esemplari all’anno, nonostante il governo abbia ribadito che questi cetacei costituiscono “un importante supplemento al sostentamento della popolazione delle isole Faroe”.
La decisione del territorio danese autogovernato di fissare i delfini cacciabili a quota 500 potrebbe essere temporanea, dal momento che lo stesso governo ha voluto sottolineare che una quota annuale di 825 delfini sarebbe comunque sotto i limiti sostenibili. Le isole favore riesamineranno il tetto dopo il parere del comitato scientifico della North Atlantic Marine Mammal Commission, previsto per il 2024. Ad ogni modo il governo ha assicurato che prenderà in esame anche le procedure utilizzate per uccidere i delfini.