
Il proverbio dice che la strada per l'inferno è lastricata di buone intenzioni. Lungi da noi il voler giudicare le pratiche religiose delle persone, ma ce ne sono alcune, che pur non volendo, finiscono per creare danni all'ambiente. Uno di queste è il rituale buddista dello "Fangsheng", ovvero “rilascio di creature viventi”.
Il rituale buddista "Fangsheng", noto anche come "rilascio di creature viventi" o "salvataggio di vite", è una pratica comune in alcune tradizioni buddiste cinesi e asiatiche. Questo rituale è basato sull'idea di comprensione e compassione verso tutte le forme di vita e nasce dalla volontà di voler ridurre il dolore e la sofferenza degli esseri viventi.
Nel contesto del rituale "Fangsheng", i praticanti acquistano animali destinati al consumo o alla cattività, come pesci, uccelli o insetti, e li liberano in luoghi naturali come fiumi, laghi o foreste. Questo atto è considerato meritorio nel buddismo, poiché si ritiene che aiuti a coltivare la compassione e ad accumulare karma positivo. La pratica riflette l'idea buddista di rispettare e proteggere tutte le forme di vita, poiché ogni essere ha la capacità di raggiungere l'illuminazione.
Tuttavia, il rituale Fangsheng potrebbe avere anche conseguenze negative per l'ecosistema. In alcuni casi, infatti, il rilascio indiscriminato di animali può causare problemi ecologici o danni agli ecosistemi locali. Pertanto, alcuni praticanti e organizzazioni stanno cercando di adottare approcci più responsabili al rilascio degli animali, valutando attentamente gli impatti ambientali e la salute degli animali stessi.
A dimostrare questo aspetto è un articolo scientifico pubblicato su Current Zoology che ha per titolo Le lontre eurasiatiche preferiscono cibarsi di pesci non autoctoni rilasciati per scopi religiosi sull'Altopiano Qinghai-Tibetano.
Lo studio, condotto nella città di Yushu, ha rivelato che, nonostante il lungo e intenso rilascio di pesci da parte dei residenti tibetani (solitamente specie esotiche acquistate dai mercati), di fatto di essi c'erano poche tracce nei fiumi. In pratica, questi pesci sono diventati ben presto il cibo per un'altra specie, le lontre, che hanno notato queste facili prede e non se le sono fatte scappare: i pesci liberati, infatti, si ritrovano all'improvviso in acque gelide e povere di ossigeno (non dimentichiamo che l'altitudine media qui è di 4.800 metri sul livello del mare), e, pertanto, sono lenti e letargici. Vale a dire: facili da predare.
“Il nostro studio – notano gli autori della ricerca – suggerisce che il rilascio di pesci per motivi religiosi può fornire risorse alimentari aggiuntive per le lontre, ma queste ultime, come predatori di vertice nei fiumi locali, potrebbero ridurre la probabilità di colonizzazione dei pesci non autoctoni una volta rilasciati, esaurendo tali specie”.