Microfibre e metalli pesanti: ecco gli inquinanti rilasciati dalle mascherine in mare

Due diversi studi (uno condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca, l’altro da scienziati della Swansea University) hanno analizzato l’impatto delle mascherine chirurgiche una volta disperse nell’ambiente: tra gli agenti inquinanti non solo microplastiche, ma anche piombo, antimonio e cadmio, che non riescono ad essere rimossi dai sistemi acquatici e che dunque possono accumularsi nel tempo.
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Federico Turrisi 10 Maggio 2021

Con la pandemia le mascherine sono diventate nostro malgrado un "compagno" inseparabile, quando ci ritroviamo in ambienti chiusi o in luoghi pubblici. E non ci stancheremo mai di ripetere quanto sia importante smaltirle correttamente. Perché stanno diventando, o meglio sono già diventate, un grosso problema per l'ambiente.

Già in passato ti avevamo detto che una mascherina chirurgica abbandonata può impiegare anche 450 anni a biodegradarsi. Ma sai quanto materiale inquinante viene rilasciato una volta che finisce in mare? Se lo è chiesto un team di chimici del Dipartimento di Scienze dell'Ambiente e della Terra dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca, che ha approfondito il meccanismo di degradazione foto-ossidativa delle fibre di polipropilene presenti nei tre strati delle mascherine chirurgiche.

Il lavoro sperimentale è stato condotto sottoponendo delle mascherine usa e getta disponibili commercialmente ad esperimenti di invecchiamento artificiale, designati per simulare ciò che avviene nell’ambiente quando una mascherina abbandonata inizia a degradarsi a causa dell’esposizione agli agenti atmosferici e, in particolare, alla radiazione solare. Un processo che può durare anche settimane prima che il rifiuto raggiunga il mare, dove è poi sottoposto a stress meccanici prolungati indotti dal moto ondoso. Ed è proprio qui che avviene il maggior rilascio di microfibre (fino a 173 mila in un solo giorno).

Le misurazioni condotte con tecniche di microscopia elettronica e microspettroscopia infrarossa hanno evidenziato come una singola mascherina chirurgica esposta alla luce ultravioletta del sole per 180 ore sia in grado di rilasciare centinaia di migliaia di nanoparticelle. Ti starai chiedendo magari con quali effetti per gli organismi marini. Ebbene, questo è ancora tutto da scoprire.

Sulla stessa scia dello studio dell'Università Bicocca, di recente è stata pubblicata un'altra ricerca – questa volta firmata dagli esperti della Swansea University (nel Regno Unito) – che mette in evidenza un aspetto piuttosto inquietante dell'inquinamento causato dalle mascherine immerse nell'acqua: il rilascio, oltre che di microplastiche, anche di metalli pesanti, come piombo, antimonio e cadmio. Secondo i ricercatori, questi inquinanti sono spesso legati ai coloranti utilizzati nella produzione dei dispositivi di protezione, realizzati per lo più in Cina.

Attenzione, i livelli rintracciati sono pur sempre nell'ordine delle parti per milione o addirittura delle parti per miliardo. Tuttavia, queste sostanze, che possono essere tossiche anche a basse dosi, rischiano di accumularsi col tempo negli organismi marini, dal momento che i sistemi acquatici non sono in grado di rimuoverle. Per questo gli esperti sottolineano l'importanza di condurre ulteriori ricerche per comprendere meglio l'impatto delle mascherine disperse nell'ambiente.

Fonti | "The release process of microfibers: from surgical face masks into the marine environment" pubblicato su Environmental Advances + "An investigation into the leaching of micro and nano particles and chemical pollutants from disposable face masks – linked to the COVID-19 pandemic" pubblicato su Water Research.