microplastiche

Microplastiche nell’acqua, uno studio italiano spiega come finiscono nel nostro piatto

Uno studio condotto dai ricercatori di ENEA e del CNR punta i riflettori sul percorso delle microplastiche dall’acqua dolce alle piante ai crostacei fino nei nostri piatti. La ricerca dimostrerebbe come le microplastiche non restino materiale inerte, ma diventino un elemento attivo nella catena alimentare.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Roberto Russo 21 Aprile 2023

Forse anche tu ti sei domandato come facciano le microplastiche a finire nel cibo che mangiamo. Il percorso che va dalle piante, agli animali e quindi agli esseri umani è stato studiato da un team di Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) insieme ai ricercatori dell’Istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri del Consiglio Nazionale delle Ricerche coordinati da Massimo Zacchini. Lo studio dal titolo Tossicità delle microplastiche e trasferimento trofico negli organismi d'acqua dolce è stato poi pubblicato dalla rivista internazionale Water.

La ricerca parte dalla preoccupazione per la diffusa presenza di microplastiche che comporta una loro interazione con i processi biologici che può tradursi in una potenziale tossicità delle microplastiche sulle cellule animali e vegetali. Queste infatti potrebbero raggiungere anche l'uomo attraverso la rete alimentare, costituendo un rischio per la sua salute..

Come è stato condotto lo studio

In laboratorio i ricercatori hanno studiato gli effetti di microparticelle di polietilene, tra le più comuni materie plastiche disperse nell’ambiente, su organismi d’acqua dolce, vegetali e animali.

Alcune piantine di lenticchia d'acqua (Spirodela polyrhiza) sono state immerse in acqua contaminata da microplastiche di circa 50 micrometri (più piccole del diametro di un capello). Dopo 24 ore queste piantine sono state trasferite in una vasca con esemplari di Echinogammarus veneris, un crostaceo d’acqua dolce simile a un gamberetto alimento base di pesci come le trote.

Cosa è successo alle piantine in acqua contaminata? Gli studiosi hanno osservato una lieve riduzione del contenuto di clorofilla nelle piantine. Inoltre queste hanno accumulato un elevato quantitativo di microplastiche sulle radici, ingerite poi dai gamberetti (una media di circa 8 particelle per Echinogammarus veneris). Una volta digerite le microplastiche sono state espulse dai gamberetti entrando nella cosiddetta “catena alimentare del detrito” che, a detta dei ricercatori, è più pericolosa di quella di partenza.

Gli studiosi hanno valutato gli effetti di queste microplastiche sul DNA dei crostacei: dopo solo 24 ore si è osservato che i gamberetti che hanno ingerito microplastiche presentavano danni a livello di materiale genetico.

Cosa significa in termini pratici

Spiega Valentina Iannilli, ricercatrice Enea del Laboratorio Biodiversità e servizi ecosistemici: “Le piantine hanno avuto il ruolo di raccogliere e trasferire queste particelle ai crostacei, fonte di cibo per i pesci che a loro volta accumulano microplastiche anche nei muscoli, che sono poi le parti che noi mangiamo”.

Le microplastiche, pertanto, non sono materiale inerte, come si sarebbe indotti a pensare, ma si muovono lungo la catena alimentare, con conseguenze allarmanti.