
Da alcuni giorni l’oceano di fronte alla provincia di Rayong, in Thailandia, si è tinto di nero. Si tratta di un’enorme perdita di petrolio da un oleodotto sottomarino, che ora sta minacciando la barriera corallina e le spiagge della zona.
Subito dopo la fuoriuscita di petrolio, 150 lavoratori della Star Petroleum Refining – compagnia che possiede l’oleodotto – e 200 membri del personale della Marina thailandese si sono attivati per delimitare e bonificare l’area contaminata. Secondo le stime, si sarebbero riversati nell’oceano 50.000 litri di petrolio.
Si teme per le gravi conseguenze ambientali che lo sversamento, avvenuto a circa 12 miglia (20 chilometri) dalle coste, potrebbe avere. Soprattutto, destano preoccupazione i danni che l’incidente potrebbe provocare alle barriere coralline e alle spiagge turistiche vicine.
Secondo le immagini satellitari dell'Agenzia governativa per lo sviluppo della Geoinformatica e della Tecnologia spaziale (GISTDA) la grande macchia nera si è diffusa fino a ricoprire la superficie del mare per 67 km². L’obiettivo, in queste ore, è impedire che raggiunga anche la piccola isola di Ko Samet, nota meta per le vacanze di turisti da tutto il mondo.
"Se il petrolio raggiungesse quest'area potrebbe avere un impatto sulla spiaggia e causare gravi danni ai coralli di acqua bassa", ha dichiarato il ministro dell’ambiente Varawut Silpa-Archa.
Mentre si cerca di contenere il disastro ambientale in Thailandia, anche in Perù il petrolio sta causando gravi danni all’ecosistema marino: 6mila barili di petrolio sono finiti in acqua a seguito dell’eruzione del vulcano Hunga Tonga.