Nel 2300, se non ridurremo le emissioni di CO2, negli oceani si rischia l’estinzione di massa. Lo afferma uno studio di Princeton

Estinzione di massa per le specie che abitano i fondali oceanici nel 2300. Questo il peggiore degli scenari di un rapporto firmato da due scienziati del Dipartimento di geoscienze dell’università di Princeton, pubblicato recentemente su Science. Ma l’intento non è fomentare il catastrofismo: piuttosto, sottolineare i rischi dell’inazione climatica.
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Michele Mastandrea 1 Maggio 2022

Le specie che abitano i nostri oceani potrebbero andare incontro a un'estinzione di massa da qui al 2300, in mancanza di un rapido stop alle emissioni climalteranti.

È il severo monito, devi sapere, di un nuovo studio realizzato da Curtis Deutsch e Justin Penn, membri del Dipartimento di Geoscienze dell'Università di Princeton. La ricerca, intitolata ‘Avoiding ocean mass extinction from climate warming‘, è stata pubblicata sulla rivista Science, una delle più prestigiose del panorama scientifico internazionale.

L'analisi ha paragonato la situazione attuale con quella relativa alla "Grande Morte" di circa 252 milioni di anni fa, quando più di due terzi di tutta la vita marina nel periodo Permiano si estinse. In uno scenario ipotetico caratterizzato da future alte e continue emissioni, i risultati sono stati inquietanti.

Oceani in pericolo

Secondo lo studio, l'anno scorso gli oceani hanno toccato la temperatura più alta e il contenuto di ossigeno più basso dall'inizio di questo tipo di rilevazioni. Una tenaglia mortale per le specie animali e vegetali che rendono vivi i fondali oceanici. I cambiamenti chimici stanno minacciando già oggi numerose categorie di pesci, in un contesto in cui la quantità di barriere coralline è in progressivo declino.

La ricerca si è concentrata principalmente sugli effetti del riscaldamento e della perdita di ossigeno, quest'ultima dovuta in particolare alla minore azione di piante come mangrovie e Posidonia Oceanica. Ma esistono numerosi rischi ulteriori per gli oceani esterni al modello, spiegano gli scienziati. Basti pensare alla loro acidificazione, che potrebbe peggiorare la perdita di specie prevista dallo studio.

Stop al catastrofismo

Con l'aumento della temperatura, i Tropici sarebbero i primi a verificare la diminuzione delle specie. La prima reazione sarebbe la migrazione in direzione di latitudini più elevate, ma sarebbe una scappatoia soltanto temporanea. Le specie polari sarebbero infine le più a rischio, dato che il loro habitat  – si legge nella ricerca – diventerebbe una "nicchia climatica in via di estinzione".

Non c'è da essere catastrofisti, però. Esiste, visto che si parla di tre secoli di distanza, moltissimo tempo per evitare questo terribile scenario. L'intento dei due scienziati è solamente fare riflettere sui rischi dell'inazione climatica.

Ascoltare gli allarmi

Come del resto esposto anche negli ultimi report dell'Ipcc, dalle scelte che facciamo ora dipenderà il futuro del nostro pianeta. Iniziando da una decisa transizione energetica, puntando sulle rinnovabili e facendo a meno di carbone, gas e petrolio, e arginando così l'aumento del riscaldamento globale.

Riuscire a restare all'interno degli obiettivi siglati con l'Accordo di Parigi del 2015, spiegano i due estensori dello studio, permetterebbe infatti di evitare che il 70% delle specie in pericolo possano essere vittime da una simile tragedia. Da qui a fine secolo sarebbe a rischio solo il 4% della biodiversità, una cifra che seppur apparentemente piccola significa una perdita comunque dolorosissima per il pianeta. Ragione per cui resta necessario prendere sul serio gli allarmi, cambiando  rapidamente direzione.