Nel 35% dei pesci del Tirreno ci sono plastica e tessuti: ecco da cosa non riusciamo a proteggere il Santuario dei Cetacei

I nostri mari sono pieni di microplastiche e frammenti tessili, e le creature che li abitano pure. Secondo i risultati di uno studio condotto diffusi recentemente da Greenpeace, il 35% di pesci e invertebrati del mar Tirreno contengono queste particelle. E la maggior parte provengono proprio dal Santuario dei Cetacei.
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Sara Del Dot 27 Luglio 2020

Il mare e i suoi abitanti vanno protetti, e di questo ce ne stiamo rendendo sempre più conto. Le minacce in cui pesci, invertebrati e mammiferi acquatici incorrono ogni giorno sono tantissime ed è nostra responsabilità fare in modo che queste specie animali riescano a rimanere in vita e a continuare ad abitare le acque che ci circondano. Per la salute degli ecosistemi ma soprattutto per la nostra. Pesca di frodo e industriale sono tra le cause maggiori di spopolamento di mari e oceani, e per riuscire a contrastare la devastazione che stanno provocando sono state create le aree marine protette, proprio come il Santuario dei Cetacei nel Tirreno, al largo delle coste della Toscana. Tuttavia c’è un pericolo da cui nemmeno l’istituzione di uno spazio sicuro come questo può difendere le creature che vi abitano. Si chiamano microplastiche, sono invisibili e troppo spesso finiscono nello stomaco di pesci e altre creature del mare.

A testimoniare la situazione che si sta verificando in particolare nel mar Tirreno sono i risultati dei monitoraggi effettuati recentemente da Greenpeace in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche e l’Istituto per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambiente marino del Cnr di Genova, pubblicati qui. Sono stati analizzati 300 organismi di diverse specie, di quelli che solitamente acquistiamo e mangiamo, tra pesci, invertebrati e molluschi.

Secondo questa ricerca il 35% di pesci e invertebrati che sono stati reperiti nel mar Tirreno centrale nel corso della primavera del 2019 hanno ingerito fibre tessili e microplastiche e la maggior parte provengono proprio dalla zona del Santuario dei Cetacei, nell’Arcipelago toscano. Esatto, proprio nel punto in cui giacciono da cinque anni 40 ecoballe cariche di rifiuti che rischiano di sfaldarsi da un momento all’altro. La percentuale del 35%, inoltre, segnala un aumento rispetto al monitoraggio che era stato effettuato nel 2017, in cui ci si fermava al 30%.

La sola nota positiva (magra consolazione) è che sembra che questi frammenti non arrivino fino ai nostri stomaci perché si fermano nell’intestino degli animali. Tuttavia il problema di un inquinamento talmente invasivo da non consentirci di evitare la plastica in alcun modo, anche in zone in cui non dovrebbe arrivare, permane e va affrontato con urgenza.