
La seconda foresta pluviale al mondo è quella del Congo e non a caso è chiamata anche "l'Amazzonia dell'Africa". Si estende per ben 3,7 milioni di chilometri quadrati, arrivando a interessare 6 Paesi dell'Africa Centrale. È una delle poche rimaste sul Pianeta in grado di assorbire più CO2 di quanta ne emetta: fino a 1,5 miliardi di tonnellate all'anno, che equivalgono a circa il 4% delle emissioni globali. L'Amazzonia, ad esempio, ha smesso di farlo già almeno da luglio dello scorso anno a causa della deforestazione e dello sfruttamento incontrollato. Ma questo secondo polmone verde sta rischiando la stessa fine: Global Forest Watch parla di più di 17 milioni di ettari persi tra il 2002 e il 2021, di cui 5,82 sono di foresta umida primaria, ovvero quell'area mai stata intaccata da nessuna attività umana.
La causa è il commercio illegale di legname, di cui i primi importatori sono Cina, Vietnam e Unione europea. Ma il suolo viene sfruttato anche per i minerali preziosi e per i giacimenti di petrolio e gas. Non ultimo, il grave problema del bracconaggio che sta minando la sopravvivenza stessa di specie come l'elefante e il gorilla.
Se guardi una mappa dell'Africa, più o meno al centro noterai una grande macchia verde scuro che occupa quasi tutto il Bacino del Congo ed è circondata da verde più chiaro e terreno spoglio. È la foresta pluviale del Congo, di cui il 60% è ospitato proprio dalla Repubblica Democratica del Congo, mentre il restante 40% si suddivide tra altri 5 Paesi confinanti: Gabon, Guinea equatoriale, Camerun, Repubblica Centroafricana e Repubblica del Congo. Fino a una ventina d'anni fa, quella macchia era ben più estesa.
Dal 2002 ad oggi, la foresta ha perso il 35% di tutta la superficie coperta da alberi e il 5,6% della foresta primaria umida contenuta entro i confini della Repubblica Democratica del Congo. Sulla mappa tracciata da Global Forest Watch i punti rosa che segnano la perdita di alberi stanno quasi oscurando il verde.
Le previsioni per il futuro non sono piene di speranze: il tasso di deforestazione è in costante aumento. Secondo la FAO, tra il 2010 e il 2020 l'Africa ha raggiunto il record, con una perdita totale di 3,9 milioni di ettari all'anno. Tra il 2000 e il 2010 ruotava attorno ai 3,4 milioni all'anno e nel decennio precedente era ancora più basso: 3,3 milioni.
La foresta non è semplicemente un insieme di alberi. Oltre alle loro capacità di assorbimento della CO2, questi vasti spazi, a tratti ancora incontaminati, sono la casa di specie vegetali e animali che, altrimenti, non avrebbero dove vivere. Quella del Congo, nello specifico, ospita fino a 10mila tipi diversi di piante tropicali, di cui il 30% risulta essere unico nella regione. Ma non solo.
L'80% di tutti i primati africani si è stabilito proprio qui, tra questi alberi che ora vengono distrutti a velocità crescente. Schimpanzè e gorilla, ad esempio, sono oggi a rischio estinzione. E lo stesso vale per altri animali come il leopardo o l'elefante, la cui popolazione viene costantemente decimata ed è passata dai 200mila esemplari degli anni '60 ai 20mila del 2020.
Anche l'uomo sfrutta questo ecosistema per ottenere cibo, acqua dolce e rifugio. All'ombra della foresta pluviale del Congo vivono oltre 75 milioni di persone appartenenti a 150 diversi gruppi etnici, alcuni dei quali abituati a vivere in armonia con la natura. Il popolo dei Ba'Aka, in particolare, è il più conosciuto tra i rappresentanti dell'antico stile di vita di questi luoghi.
La causa principale della deforestazione è lo sfruttamento del legname. Questa materia prima importantissima viene destinata sia alla produzione di carbone, che a quella di mobili e pavimenti nei Paesi più ricchi. Un sistema che ha due facce: da un lato, le fasce più povere della popolazione che fanno affidamento sul disboscamento illegale come unica possibile fonte di carburante ed energia e dall'altro lato le multinazionali straniere in combutta con alti funzionari del governo corrotti che vogliono trarre profitto da questo traffico.
Il tutto viene facilitato dalle condizioni ambientali del Paese, con fiumi multo lunghi che permettono il transito di grandi carichi di legname e poche strade asfaltate che facilitino i controlli. Un reportage del New York Times ha documentato come il fiume Congo, il secondo più lungo del continente dopo il Nilo, sia diventato una sorta di autostrada per zattere di diverse dimensioni che trasportano tronchi di teak africano, wengè e bomanga. Accanto alle imbarcazioni più grandi, di proprietà delle società internazionali, vi sono quelle più ridotte e precarie, costruite dagli abitanti della zona che provano a ricavare un piccolo profitto da questa pratica illegale. Intere famiglie rimangono per mesi sulle zattere, mettendo a rischio la loro stessa vita.
E anche quando esistono strade asfaltate, cadono spesso sotto il controllo di gruppi criminali. Il WWF conferma che, oltre al disboscamento, anche la costruzione di strade e dighe e le attività di estrazione mineraria stanno dando un contributo significativo alla deforestazione. E aggiunge: "Le nuove strade garantiscono una penetrazione in territori un tempo inaccessibili, permettendo ai bracconieri di uccidere e catturare a scopo alimentare o commerciale un maggior numero di animali selvatici, incluse specie rare e molto localizzate".
Un caso esemplare è sicuramente quello del parco del Virunga, situato all'interno della Foresta del Congo e, nello specifico, nella provincia del Nord-Kivu. In quest'area si trova anche il Lago Kivu, uno dei grandi bacini africani, che per secoli ha dato da vivere a comunità locali attraverso pesca e agricoltura. Dal 1979, il parco è patrimonio dell'umanità dell'UNESCO, un accorgimento che non è stato sufficiente per proteggerlo.
Da almeno 40 anni il Virunga, lo stesso dove purtroppo è avvenuta l'imboscata ai danni dell'ambasciatore italiano Luca Attanasio e dell'autista Mustapha Milambo a maggio del 2021, è sotto il controllo di diversi gruppi armati locali e in particolare delle milizie hutu Interahamwe. È loro la gestione del traffico di legname, come pure quella di minerali preziosi tra cui oro, diamanti, cassiterite e coltan, di cui il sottosuolo della foresta è ricco.
Il governo ha intrapreso qualche tentativo per neutralizzare i gruppi armati, schierando l'esercito. Ma alle operazioni militari non è seguita alcuna politica di pacificazione e soluzione dei conflitti. La situazione quindi è rimasta instabile e le milizie risultano oggi ancora più frammentate. Manca insomma la presenza di uno Stato forte, che sia in grado di contrastare le pratiche illegali.
Le grandi aziende internazionali fanno leva su corruzione e cattiva gestione per proseguire i propri affari e aumentare i profitti per vie spesso poco trasparenti. Secondo Alliance Virunga, dal 2008 al 2021 sono stati uccisi circa 200 rangers, il cui compito era naturalmente quello di proteggere il parco.
Non è semplice, per la verità, capire da che parte stia il governo e se intenda davvero combattere queste attività illegali. Le misure adottate infatti appaiono spesso in contrasto tra loro.
A luglio 2021, l'attuale ministra dell'Ambiente Eve Bazaiba ha annunciato la fine di una moratoria in vigore dal 2002 il cui scopo era quello di impedire l'assegnazione di nuove concessioni per il taglio del legname. Moratoria che, in ogni caso, era già stata violata più e più volte, come ha denunciato Greenpeace: "Negli anni, le nuove concessioni sono state numerose e persino Claude Nyamugabo, Ministro dell’Ambiente e dello sviluppo sostenibile della RDC fino ad aprile 2021, ha violato la moratoria decine di volte. Come se non bastasse, il governo della RDC ha recentemente aperto il 40% del parco nazionale di Salonga, situato nel bacino del Congo, all’esplorazione petrolifera", ha spiegato Martina Borghi, Responsabile Campagna Foreste di Greenpeace Italia.
Tre mesi dopo, il presidente della Repubblica Democratica del Congo, Felix Tshisekedi, ha invece voluto ergersi a paladino della lotta contro il disboscamento chiedendo al governo di fare un punto sulle posizioni esatte di tutte le concessioni forestali e sui loro aspetti finanziari, intimando di sospendere tutti i contratti discutibili fino all'esito dell'audit. C'è però chi ha temuto che questa campagna fosse più che altro uno strumento per tracciare un panorama preciso di tutte le concessioni, proprio in vista della fine della moratoria del 2002.
Eppure nello stesso periodo Bazaiba annunciava lo stop all'export di legname verso i Paesi esteri, precisando che: “Questo ci consentirà non solo di agevolare il ripristino dell’ecosistema naturale, ma anche di mettere in atto un programma di riforestazione avviato con tutti i nostri partner tecnici, finanziari e di sviluppo".
In questo alternarsi di decisioni pro e contro la salvaguardia dell'ambiente, l'ultimo capitolo è stato scritto alla fine di luglio 2022, quando il governo ha indetto un'asta per investitori stranieri: in palio c'erano 27 aree per lo sfruttamento del petrolio e 3 per l'estrazione di gas. Migliaia e migliaia di ettari di vegetazione andranno probabilmente distrutti da scavi, trivellazioni e costruzione di oleodotti e gasdotti. Senza contare tutto l'inquinamento che ne deriverà.
Ma probabilmente la risposta al perché di queste scelte è tutta nelle parole della ministra Bazaiba: "Il petrolio è il barometro dell'economia, quando si ha difficoltà ad accedere al petrolio, il prezzo dei servizi, delle merci, della vita salgono. Ma quando si ha accesso al petrolio, questi diminuiscono e anche la popolazione se ne avvantaggia. Abbiamo le risorse del suolo e del sottosuolo. È su questo che tratteremo con il resto del mondo”. Insomma anche rispettare l'ambiente può diventare un privilegio per pochi, quando il tuo Paese è stato sfruttato per secoli dalle grandi aziende straniere, che lo hanno saccheggiato e impoverito.
"Sebbene la responsabilità di alcuni politici locali sia chiara e innegabile, è altrettanto evidente come, dopo decenni di colonialismo, l’Africa Centrale abbia costruito la sua indipendenza su basi politiche fragili, che insieme alla presenza di risorse naturali di grande valore hanno determinato una situazione molto delicata e complessa – ha infatti commentato Borghi di Greenpeace – È quindi fondamentale che la responsabilità della deforestazione sia data anche ad aziende e multinazionali estere che agiscono illegalmente arrivando anche ad alimentare la corruzione in nome del profitto".