Quanto è corretto l’impatto idrico della moda? Un nuovo report svela l’inquinamento nei fiumi dell’Africa

Water Witness International ha rilasciato un rapporto da cui emerge lo stato di salute molto precario che interessa le acque di alcuni fiumi africani (e di conseguenza le popolazioni che vi abitano attorno), accendendo i riflettori sui danni ambientali e sanitari dell’industria tessile. Senza demonizzare, semplicemente chiedendo una regolamentazione.
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Sara Del Dot 20 Agosto 2021

L’industria tessile è il secondo settore più impattante al mondo a livello ambientale, dopo soltanto quello petrolifero. Si stima che, da solo, sia responsabile dell’emissione di circa un miliardo e 200 milioni di tonnellate di anidride carbonica l’anno. Per tenerlo in piedi, però, non sempre si seguono percorsi e metodi sicuri, per la natura ma anche per le persone che vi lavorano. Soprattutto in Paesi molto lontani da noi.

Ti avevamo già raccontato dell’impatto decisamente insostenibile del denim, il materiale di cui sono fatti i jeans, per la cui produzione è necessaria una quantità enorme di risorse idriche, cotone e interventi di lavorazione dannosi sia per la salute dei lavoratori che per l’ambiente, dal momento che non sempre scarti e reflui vengono depurati come dovrebbero.

Secondo un nuovo rapporto di Water Witness International, che ha condotto una ricerca sul tema in cinque Paesi africani quali Etiopia, Lesotho, Madagascar, Mauritius e Tanzania, proprio il colorante utilizzato per rendere i jeans del loro inconfondibile colore ma anche le altre sostanze impiegate per realizzare i capi di fast fashion, stanno inquinando i fiumi africani per far vestire Europa, Regno Unito e Stati Uniti a causa del mancato trattamento delle acque reflue. L’effetto di queste sostanze è più che evidente anche nel colore dei corsi d’acqua. Un fiume della Tanzania che è stato analizzato dall’organizzazione, infatti, il pH era pari a 12, lo stesso della candeggina, proprio a causa di questi scarichi. Le sostanze che vengono gettate nei corsi d’acqua possono essere davvero nocive per la salute, trattandosi di metalli pesanti, solventi e altri elementi chimici. E si tratta dell’acqua che gli abitanti dei villaggi usano per lavarsi, cucinare, allevare, coltivare. Senza avere alternative.

A ciò si aggiunge il fatto che l’80% dei lavoratori del settore sono donne e non hanno a disposizioni i servizi di base per la tutela della loro salute.

Dopo aver riscontrato queste problematiche l’organizzazione non ha proposto di abbandonare o eliminare questo settore, comunque redditizio per il continente e in grado di creare diverse migliaia di posti di lavoro ed entrate economiche. Si stima infatti che il settore tessile in questo continente riesca a sfamare oltre 50 milioni di persone. La volontà è quella di sollevare la questione per imporre alle aziende, multinazionali famose in tutto il mondo, la tutela delle persone che attorno a queste attività vivono, coltivano e crescono i loro bambini, che hanno il diritto di poter crescere e vivere la propria vita in salute e utilizzare l’acqua in modo sicuro senza dover pagare le conseguenze di un utilizzo dannoso e irresponsabile.