Il sud est del Brasile è sommerso dalle alluvioni, il Messico si prepara per il settimo anno consecutivo a una stagione degli uragani superiore alla media, mentre l'Australia ha da poco affrontato inondazioni "senza precedenti". Tutti questi eventi sono legati tra loro e in tutti i casi c'entra il cambiamento climatico. L'ultimo episodio in ordine di tempo è quello che ha già provocato 79 morti e almeno diverse migliaia di sfollati nello stato del Pernambuco, in Brasile. Ma secondo i meteorologi questa situazione è destinata a proseguire ancora per qualche giorno.
Il Pernambuco è un piccolo stato brasiliano che confina a sud con quello di Bahìa e a nord con l'Alagoas, anch'esso interessato dalle violente precipitazioni di questi giorni. In alcune aree, la pioggia caduta nella notte tra il 27 e il 28 maggio è risultata pari al 70% di quella caduta in un mese. Le città più colpite sono state la capitale Recife, con un milione e 600mila abitanti, e Olinda, più a nord, dove vivono 370mila persone. Fiumi di fango hanno investito i quartieri periferici delle due città, distruggendo abitazioni costruite in modo precario.
Mentre si continuano a cercare le decine di dispersi, si teme che nelle prossime ore il numero delle vittime possa aumentare. Intanto, le scuole sono state chiuse e si sono trasformate in rifugi per ospitare chi è rimasto senza una casa.
Nell'Alagoas invece 33 municipalità hanno dichiarato lo stato d'emergenza. Le immagini che circolano sui social sono sempre le stesse: soccorritori che scavano nel fango e nei detriti alla ricerca di persone rimaste intrappolate.
In Brasile quest'anno la stagione delle piogge è iniziata già a novembre, con un mese d'anticipo. Attorno al 7 dicembre si contavano i primi disastri, con un ciclone subtropicale che attraversava lo stato di Bahìa, provocando inondazioni e distruzione. I morti sono stati almeno 27, mentre altri 500 persone hanno riportato ferite provocate dalla violenza della corrente e dall'impatto con i detriti. In totale, 155 municipalità hanno dichiarato lo stato d'emergenza e più di 965mila abitanti sono stati interessati dalla calamità.
A gennaio è stata la volta dello stato di Sao Paulo, dove il copione si è ripetuto: piogge intense, fiumi esondati, case distrutte. Ad oggi si contano una trentina di deceduti.
Tra febbraio e aprile, poi, precipitazioni di intensità anomala hanno interessato gli stati di Rio de Janeiro e Minas Gerais. Secondo la Croce Rossa, gli sfollati sarebbero almeno 70mila. La città simbolo del disastro è stata Petrópolis, una località di collina da 295mila abitanti, situata tra le foreste della Serra dos Órgãos, nella valle dei fiumi Quitandinha e Piabanha. È una famosa meta di vacanze estive per gli abitanti di Rio de Janeiro, che provano in questo modo a scappare dal caldo della metropoli. Il 17 febbraio in sole tre ore sono caduti 260 millimetri di pioggia: le case dei quartieri più periferici sono state spazzate via, uccidendo più di 100 persone e provocando almeno 130 dispersi.
Secondo gli esperti, le cause di questa serie di disastri sarebbero da attribuire a La Niña e alle conseguenze del cambiamento climatico. La Niña è un fenomeno climatico che si contrappone all'anticiclone El Niño, quello che, per intenderci, fa salire rapidamente la colonnina di mercurio nel nostro emisfero, Italia compresa. Insorge più o meno ogni tre o quattro anni e ha come effetto la riduzione di qualche grado della temperatura della superficie dell'Oceano Pacifico, influenzando velocità e direzione dei venti che ne originano.
Di norma, si forma nell'area est dell'Oceano, ma negli ultimi due decenni un fenomeno simile è stato rinvenuto anche nell'area pià centrale. Ed è proprio questo cambiamento, probabilmente riconducibile al riscaldamento globale, a essere all'origine di un aumento nel numero e nella durata degli eventi estremi. È ad esempio la causa delle alluvioni devastanti che hanno colpito Pakistan e Bangladesh nel 2010, o della lunga siccità che imperversa nell'est dell'Africa a partire dal 2011. E ancora, delle inondazioni nel New South Wales dell'Australia nonché, da ultimo, dei violenti nubifragi in Brasile.
Ma non è tutto, perché l'incremento della temperatura atmosferica fa in modo che venga assorbita e trattenuta una maggiore quantità d'acqua. Di conseguenza, una volta rilasciata, cadrà con molta più violenza e intensità. Secondo l'Ipcc, a partire dagli anni '60 in Brasile sta crescendo la media delle precipitazioni e il numero di eventi estremi. E tra le ragioni ci sarebbero anche le emissioni di gas serra e l'assottigliamento dello strato di ozono.
La stagione degli uragani nel Pacifico và da metà maggio a metà novembre. Proprio in queste ore il Messico si prepara al primo del 2022, già soprannominato Agatha e classificato di intensità 3. Ci si attendono forti piogge ed eventi distruttivi soprattutto lungo la costa dello stato di Oaxaca. A sorprendere davvero, però, sono le previsioni: questo potrebbe essere il settimo anno consecutivo con un numero di eventi estremi superiore alla norma. La Niña inoltre li sta rendendo più violenti e di durata maggiore.
Il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, le cui decisioni stanno favorendo le emissioni e la crisi climatica, ha sorvolato in elicottero l'area colpita, salutando con la mano una popolazione che in realtà non era presente.