Roberto Cingolani: il ministro che ha confuso la transizione ecologica con quella energetica

Il bilancio dell’operato del ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani è negativo, purtroppo. Tra ritardi e mancanze, il ministro ora pensa di risolvere i suoi errori tornando a estrarre più gas, massimizzando la produzione delle centrali a carbone e riattivando le trivellazioni in mare.
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Francesco Castagna 12 Ottobre 2022

Il momento in cui ufficialmente Mario Draghi ha concluso la sua esperienza di governo è arrivato. Non è più premier di maggioranza e non è più reggente, la sfida ora passa alla coalizione che ha vinto le elezioni: il centrodestra a trazione Fratelli d'Italia. La premier in pectore Giorgia Meloni è a lavoro per formare la squadra di governo, tra i tanti passaggi di testimone, uno dei più fondamentali sarà quello che coinvolgerà il sostituto di Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica.

Accademico, fisico e già dirigente d'azienda italiano, Cingolani ha un passato in Leonardo (l'azienda che per il nostro Paese si occupa di sistemi di difesa, sicurezza e che lavora inoltre nel settore dell'aerospazio) ed è stato precedentemente direttore scientifico dell'Istituto italiano di tecnologia di Genova.

Sembrava uno dei nomi più difficili da scegliere, invece il suo fu uno dei primi nodi a sciogliersi. Da subito sul tavolo del nuovo ministro ci sono stati dossier importanti da risolvere. Il suo non a caso è stato il primo ministero della Transizione Ecologica, il MiTe, che ha sostituito il precedente Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.

La situazione energetica italiana

La proposta di cambiare il nome del Ministero fu oggetto già delle prime critiche da parte di alcune associazioni ambientaliste, come Marevivo. Raffaella Giugni, responsabile Relazioni istituzionali Marevivo, infatti ci aveva già parlato delle criticità esposte dall'associazione al tempo.

Il dubbio infatti verteva sul fatto che, a parere dell'associazione, togliere le parole "tutela, ambiente, territorio, mare" avrebbe relegato il ministero a una visione antropocentrica. E in effetti Marevivo non aveva tutti i torti. Senza entrare troppo nel merito della critica, è indubbio il fatto che, un po' per esigenza e un po' per visioni differenti, il MiTe si sia concentrato molto di più sulle questioni energetiche che sulla tutela del patrimonio paesaggistico italiano. Il problema però è proprio la differenza di opinioni: se non si riesce ad avere una visione a lungo termine sul clima, sul paesaggio e sull'energia, si dovrà ricorrere sempre a sistemi di produzione sicuramente efficienti, ma che inquinano. Un po' come nascondere la polvere sotto il tappeto, per intenderci.

Il bilancio dell'operato di Roberto Cingolani deve però prevedere un'onesta premessa: nessuno dei partiti precedentemente impegnati politicamente aveva mai fatto abbastanza per lo sviluppo delle fonti rinnovabili, per la tutela degli ecosistemi terresti e marini e per la salvaguardia e la protezione degli animali. Questo dal 2011,  quando l'Italia ha registrato un record mondiale per installazioni di impianti fotovoltaici – come segnalava un rapporto EPIA – con ben 9 gigawatt di nuova potenza installata in più, che hanno portato la produzione complessiva di energia dal sole nel nostro Paese a 12,5 gigawatt.

Da quel momento in poi l'Italia non ha più registrato questo record a livello mondiale, perché rispetto al nostro Paese le altre nazioni si sono mosse molto più velocemente. Questo significa che siamo stati timidi nell'installazione di nuove fonti da energia rinnovabile, ma in ogni caso i governi non si sono fermati nel proseguire con gli impianti.

Secondo quanto segnala la fondazione Openpolis, in Italia il trend sulle rinnovabili è in crescita dal 2012. Nello specifico, si è detto poco sull'attuazione degli obiettivi sulle rinnovabili in Italia. È credenza comune infatti che l'Italia abbia fatto molto poco in termini di rinnovabili negli anni precedenti, in realtà per essere onesti bisogna dire che erano gli standard europei a essere troppo timidi sul tema.

Infatti, se si guarda alla direttiva 2009/28 del Parlamento UE, al nostro Paese era stato assegnato un target del 17% di consumi finali lordi da energia rinnovabile da raggiungere entro il 2020. Obiettivo che l'Italia aveva già raggiunto nel 2014 con il 17,01 %. Nel 2020 il nostro consumo finale lordo di energia rinnovabile ammontava al 20,40%. L'Italia quindi era sopra di un 3%, ma avrebbe potuto fare molto di più in tempo di rinnovabili. Basti pensare al fatto che sul fotovoltaico siamo molto indietro rispetto alla Germania, se pensiamo che abbiamo un'esposizione solare di gran lunga superiore.

"Secondo il Gse", scrive Openpolis, "a motivare il forte aumento tra 2019 (18,2%) e 2020 (20,4%) sarebbe stato l’aumento dei quantitativi di biocarburanti consumati, insieme alla contrazione dei consumi settoriali complessivi legata agli impatti della pandemia da Covid-19".

Il 2019 poi è stato l'anno in cui la commissione europea ha varato il "Clean energy for all package". Sostanzialmente si trattava del nuovo pacchetto di misure e di obiettivi per ridurre le emissioni di gas serra mediante l'utilizzo, tra le varie soluzioni, di fonti rinnovabili. Al 2030 l'Italia dovrà arrivare ad avere un consumo energetico da fonti rinnovabili pari al 32, 5%. Ciò significa che dovrà aumentare la propria produzione (tramite fonti rinnovabili) sul totale dei consumi energetici di oltre 10 punti percentuali.

Rinnovabili

Nel febbraio del 2021, Roberto Cingolani ha ricevuto la nomina di ministro e da subito è stato oggetto di critiche per alcune sue posizioni. Senza consultare tutte le parti politiche e con poco tatto nei confronti di due referendum popolari, in cui il popolo italiano si è espresso contrario, il ministro si è detto a favore del nucleare a fissione con modelli di nuova generazione.

Lo ha ribadito anche a settembre del 2021, con una frase che ha fatto molto discutere e che è stata abbastanza incauta "Il mondo è pieno di ambientalisti radical chic ed è pieno di ambientalisti oltranzisti, ideologici, loro sono peggio della catastrofe climatica verso la quale andiamo sparati, se non facciamo qualcosa di sensato… Sono parte del problema". È vero che spesso le discussioni sul dove installare le pale eoliche e i pannelli fotovoltaici hanno fatto perdere tempo al nostro Paese, ma è altresì vero che in tutto questo tempo non si è mai intervenuti per alleggerire la burocrazia in merito.

Il bilancio sulle rinnovabili nel 2021 purtroppo è negativo. Siamo ancora lontani dagli obiettivi previsti nella direttiva RED II (per cui ricordiamo che su alcuni punti mancano ancora i decreti attuativi). A dirlo non siamo noi, ma il Politecnico di Milano, che nel report Renewable Energy Report 2022 segnala come il 2020 sia stato un anno pessimo per quanto riguarda l'installazione delle rinnovabili, ovviamente a causa dell'emergenza pandemica.

Se nel 2020 siamo stati impossibilitati, nel 2021 non abbiamo avuto nessuna giustificazione per non procedere con l'installazione di fonti rinnovabili. Di fatto il bilancio è deludente: dal rapporto si legge che abbiamo aumentato la nostra capacità produttiva solo di poco rispetto al 2019.

"La nuova potenza da rinnovabili installata nel 2021 è stata di 1.351 MW, oltre il 70% in più della crescita registrata nel 2020 (790 MW) e in linea con le nuove installazioni registrate nel 2019, ovvero prima della pandemia Covid-19″. Il Politecnico di Milano lo definisce "un anno sprecato". A pensar male si fa peccato, ma certe decisioni vengono prese proprio quando a gennaio dell'anno scorso Cingolani disse di voler tagliare gli incentivi alle rinnovabili per far fronte al caro bollette. Nello specifico, si è trattato di 1,5 miliardi dalla riduzione degli incentivi sul fotovoltaico e circa 3 dall'idroelettrico.

Nel 2022 poi la situazione è andata peggiorando, con il conflitto russo-ucraino e il razionamento delle forniture di gas naturale dalla Russia, l'Italia ha dovuto diversificare le sue forniture di gas con altri Paesi. Nonostante il caro energia, il conflitto russo-ucraino e la crisi climatica, secondo l'associazione CittadinanzAttiva "a distanza di 9 mesi dalla pubblicazione del decreto legislativo di recepimento della Direttiva europea RED II, manca ancora, da parte del MITE, il decreto attuativo per l’aggiornamento dei meccanismi di incentivazione. Situazione che di fatto blocca anche l’uscita dei bandi per l’attivazione dei 2,2 miliardi di euro previsti dal PNRR destinati allo sviluppo di comunità energetiche rinnovabili nei comuni sotto i 5 mila abitanti".

Le politiche attuate dal ministro Cingolani stridono con il "non c'è più tempo" dell'IPCC, che ha richiesto misure nette sul taglio delle emissioni.

Da mesi poi il ministro Cingolani promette qualcosa di assurdo: aumentare l'estrazione di gas con le trivelle per far fronte al caro bollette che sta colpendo decine di aziende e famiglie italiane. Siamo sempre allo stesso punto, nel 2021 il ministro ha fatto poco e nulla per aumentare significativamente la produzione di rinnovabili in Italia e ora per rimediare alle sue stesse mancanze decide di ricorrere alle trivellazioni.

Nello specifico si parlerebbe di procedere con nuove estrazioni per 4-5 miliardi di metri cubi da giacimenti esistenti tra Adriatico e Canale di Sicilia. Un cane che si morde la coda, che si conclude con l'ultima volontà del ministro di ricorrere al carbone, chiedendo a Terna (il gestore della rete) di massimizzare l'utilizzo delle centrali.

Tutela del Paesaggio, della caccia e degli animali

Troppo impegnato nel risolvere le questioni energetiche, il ministro Cingolani probabilmente si è dimenticato di avere anche un vice-ministro e dei collaboratori ai quali affidare in maniera approfondita i rapporti con le associazioni ambientaliste, la tutela del paesaggio, della caccia e degli animali. O forse ha volutamente ignorato le loro istanze. Gianluca Felicetti, presidente LAV, ha più volte criticato le politiche sulla caccia del ministro.

Critico anche il WWF, che a metà Luglio ha rimproverato al ministero l'assenza di un piano di adattamento contro i cambiamenti climatici. Mariagrazia Midulla, Responsabile per il Clima ed Energia di WWF Italia, ha lamentato un ritardo sull'attuazione di un piano che esiste già, ma che non viene applicato senza spiegazioni. Intanto il nostro Paese viene settimanalmente colpito da eventi climatici sempre più impattanti, che continuano a essere considerati ancora come "emergenze".

Marevivo invece segnala che l'Italia è il Paese dell'Unione europea che più viene bagnato dalle acque del Mediterraneo. Il mare rappresenta il 3% del nostro Prodotto interno lordo, ma non esiste una governance del mare in grado di gestire tutti i processi legati agli ecosistemi marini. Proprio quello che Raffaella Giugni ci aveva spiegato in precedenza "non si può avere una politica così disgregata. Ci sono dieci ministeri che se ne occupano, ma ognuno fa la sua politica. Ciò che noi vorremmo proporre è un ente che mette insieme tutte le politiche dei ministeri".

Credits: Wikipedia By Niccolò Caranti – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=69643655