Giugni (Marevivo) a Ohga: “Subito una governance del mare, non si può avere una politica così disgregata”

Il mondo dell’associazionismo ambientalista ha ben compreso che queste elezioni politiche saranno fondamentali per far sì che i fondi del Piano di Ripresa e Resilienza vengano investiti nel modo giusto e sostenibile. Marevivo ha pubblicato un manifesto di richieste rivolto a tutte le forze politiche, ne abbiamo parlato con Raffaella Giugni, Responsabile delle Relazioni Istituzionali.
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Rubrica a cura di Francesco Castagna
16 Settembre 2022

In un Paese con 8.300 km di costa, come è possibile non parlare adeguatamente delle politiche da attuare nei prossimi cinque anni per tutelare il mare e i suoi ecosistemi? L'Italia è il Paese dell'Unione Europea più al centro del Mar Mediterraneo, con una tradizione storicamente basata sul mare, tanto che il nostro settore del Turismo è soprattutto di questo tipo. Da anni osserviamo e studiamo il Mediterraneo, le acque che circondano il nostro Paese, le specie che ci vivono e i metodi per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici, che nel nostro caso potrebbero anche mettere a serio rischio alcune zone costiere.

Questa è "Che Ambiente votiamo?", la maratona green di Ohga per le elezioni del prossimo 25 settembre. In vista di una campagna elettorale molto breve ma intensa, il nostro obiettivo sarà quello di accompagnarti fino a quando metterai la tua X sul simbolo di un partito o di una coalizione.

Anche Marevivo si è posto la stessa domanda, da anni chiede alle istituzioni locali e al governo nazionale di prendere delle decisioni adeguate per dare valore a questa risorsa. Per questo motivo, abbiamo sentito Raffaella Giugni, Responsabile delle Relazioni Istituzionali di Marevivo, per approfondire il perché il Mare è il grande assente nelle proposte dei partiti politici.

Giugni, come Marevivo avete scritto ai partiti italiani per chiedere una politica integrata per il mare. Tra le proposte c'è quella di istituire una governance del Mare, parliamone. 

Abbiamo bisogno assolutamente di una governance coordinata. Il mare per noi è fondamentale, abbiamo circa 8mila km di coste, una parte del nostro Pil dipende dalle attività legate al mare, non si può avere una politica così disgregata. Ci sono dieci ministeri che se ne occupano, ma ognuno fa la sua politica. Ciò che noi vorremmo proporre è un ente che mette insieme tutte le politiche dei ministeri.

Questa è una richiesta che ha fatto anche Confindustria perché non riguarda solo noi che proteggiamo il mare, ma viene anche da chi ha interessi economici. Non puoi risolvere un problema economico senza tener conto dell'aspetto ambientale. Tutto il mondo che lavora sul mare sta chiedendo a gran voce questa cosa.

Tra l'altro, prima di diventare Ministero della Transizione Ecologica, la dicitura completa era "Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare". Pensa che una scelta del genere abbia influito sulle politiche che si sono susseguite finora?

Secondo noi sì, la parole hanno un peso anche in questo caso. È stato trasformato un ministero che prima si occupava della tutela del patrimonio ambientale in un ministero dell'energia. Questo è un fatto molto grave, perché la tutela è passata in secondo piano rispetto alla transizione energetica. Siccome tutto, compresa la transizione, coinvolge il mare e il territorio, sarebbe stato più corretto lasciare il nome che aveva prima.

La direzione generale del mare che prima c'era non c'è più, è stato depotenziato il lavoro che era stato fatto sul mare. Ora ovviamente siamo tutti concentrati sull'energia, ma non è questo l'unico tema che dobbiamo prendere in considerazione anche perché l'ambiente è fondamentale. Il problema dei cambiamenti climatici come lo risolvi se non tuteli il mare, che come abbiamo detto più volte ha assorbito oltre il 90% del calore causato dai gas serra dovuti ad attività antropiche, aiutando così il processo di raffreddamento del Pianeta?

Nell'ambito dell'economia circolare, cosa manca ancora?

Noi abbiamo due leggi fondamentali, la Salvamare e la direttiva SUP, che ancora non hanno i decreti attuativi. Queste leggi, che tutti pensano che siano in vigore e quindi che vengano applicate, al momento non permettono di poter intervenire come dovrebbero. Noi come Marevivo abbiamo sollecitato più volte affinché si acceleri la procedura dei decreti attuativi, che sta alla responsabilità dei ministeri.

La Presidenza del Consiglio ci ha detto che loro hanno dato come indicazione quella di accelerare il processo, ma ancora la situazione non si sblocca. Quando si parla del recupero dei materiali in mare, che include il recupero dei rifiuti da parte dei pescatori, le barriere alle foci dei fiumi, tutte quelle misure non possono ancora essere fatte.

In merito alla Salvamare, c'è da dire che la parte della Posidonia Oceanica è ancora da migliorare. Nella legge viene trattata come materia prima-seconda e la gestione di come gestire questo materiale rimane alle autorità territoriali, che spesso non hanno le competenze adatte.

Di cosa avremmo bisogno, oltre a queste due leggi? 

Come Paese abbiamo bisogno di lavorare di più sugli attrezzi da pesca, specialmente le cassette di polistirolo, che sono un grande problema di inquinamento del mare. Questi strumenti finiscono il più delle volte in mare, si sminuzzano, diventano microplastiche.

A parte lo spreco enorme e il loro impatto, ma poi c'è un problema di dispersione in mare. I nostri studiosi quando vanno a pulire trovano molto polistirolo, che è un materiale non incluso nei materiali proibiti da queste leggi, e di cui invece dovrebbe essere vietato l'uso.

Tra le vostre spicca anche la volontà di promuovere la ocean literacy, da dove bisognerebbe partire? 

Per ocean literacy si intende l'educazione, la sensibilizzazione e la conoscenza del mare. Nella Salvamare c'è già un punto in cui si parla di promuovere l'oceano literacy nelle scuole, questa è una cosa che noi facciamo come Marevivo, facendo dei programmi specifici per i ragazzi delle elementari e delle superiori. In questo modo cerchiamo di colmare una lacuna che ha la nostra formazione italiana.

Adesso con questa legge, anche all'interno dell'educazione civica, c'è un modo per lavorare di più sulla sensibilizzazione. Oltre alla ocean literacy c'è la climate literacy, mirata ad aumentare la consapevolezza degli effetti dei cambiamenti climatici.

E per il contrasto al marine litter? 

Sicuramente l'applicazione delle due leggi di cui abbiamo parlato, e poi l'educazione ambientale. Perché consumare meno prodotti mono-uso è l'unica strada per smettere di inquinare. Anche la migliore gestione dei rifiuti non riuscirebbe a compensare un uso così eccessivo dell'usa e getta. Ci deve essere un cambiamento dei nostri consumi, come dovremmo fare per l'energia, bisognerebbe fare lo stesso per il packaging. Bisogna intervenire a monte e ridurre la quantità di rifiuti che produciamo.

In che modo mappate i rifiuti che finiscono in mare e nei corsi d'acqua?

Solitamente con le operazioni dei nostri ricercatori, poi utilizziamo una piattaforma internazionale di un'associazione americana che si chiama "Ocean Conservacy". Loro hanno un database del mondo e gli inviamo i risultati dei nostri studi e delle nostre ricerche. In questo modo riusciamo ad avere anche una panoramica di quello che succede nel mondo.

Leggendo questi dati ci si rende conto che ci sono nazioni che hanno un tipo di rifiuto e altre che ne hanno uno differente. Quest'anno sulle spiagge e in mare noi abbiamo visto meno rifiuti del solito, quindi meno oggetti spiaggiati e galleggianti, questo perché non ha piovuto e quindi i fiumi hanno scaricato meno. Questo sempre a provare il fatto che ciò che finisce al mare arriva principalmente dai fiumi.

Poi ci sono i rifiuti da pesca, come le reti abbandonate o attrezzi di ogni tipo. Il problema più grande però ormai è il fatto che le nostre spiagge sono piene di microplastiche, che si sono fermate dallo sminuzzamento nel corso di tutti questi anni. Bisogna tenerlo bene a mente: la plastica non sparirà mai, continuerà ad accumularsi e rimarrà per moltissimi anni in quei luoghi. Ecco perché dobbiamo intervenire subito.

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Il mio interesse per il giornalismo nasce dalla voglia di approfondire tutto ciò che oggi giorno accade sempre più velocemente. Unisco altro…