Serve agire in fretta contro i cambiamenti climatici. Come? Ce lo spiega il Prof. Lionello, tra i curatori dell’ultimo report Ipcc

L’ultimo Rapporto Ipcc sui Cambiamenti Climatici descrive i grandi rischi per l’Europa e la regione del Mar Mediterraneo. Tra strategie di mitigazione e possibilità di adattamento, il riscaldamento globale va contrastato il più rapidamente possibile. La prossima Cop27 dovrà occuparsi necessariamente di azioni di coordinamento tra Paesi ricchi e Paesi poveri, al fine di affrontare i numerosi problemi in campo. Ne abbiamo parlato con Piero Lionello, docente all’Università del Salento e curatore di parti del Rapporto.
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Michele Mastandrea 23 Marzo 2022
Intervista al Prof. Piero Lionello Docente di Oceanografia e Fisica Atmosferica all'Università del Salento, curatore di parte del Rapporto Ipcc "Climate Change 2022: impatti, adattamento e vulnerabilità"

L'Europa meridionale, così come tutta l'area del Mar mediterraneo, rischia di essere colpita duramente nei prossimi decenni dagli effetti dei cambiamenti climatici. Siccità, innalzamento del livello dei mari, eventi estremi come alluvioni e incendi, perdita di biodiversità, aumento sensibile delle temperature. Sono ormai decine e decine i rapporti che, come sai, segnalano i rischi dell'inazione e della mancanza di strategie di mitigazione e adattamento.

Di questa situazione abbiamo discusso con Piero Lionello, docente di Oceanografia e Fisica Atmosferica all’Università del Salento. Lionello è anche curatore di alcune parti dell’ultimo Rapporto Ipcc sui cambiamenti climatici, “Climate Change 2022: impatti, adattamento e vulnerabilità”, che ha lanciato allarmi importanti sullo stato del pianeta. Lo abbiamo intervistato per farci spiegare gli elementi fondamentali del rapporto, per comprendere la differenza tra strategie di mitigazione e strategie di adattamento, ma anche per capire se siamo ancora in tempo per cambiare le cose.

Prof.Lionello, cosa ci dice l’ultimo Rapporto Ipcc sui cambiamenti climatici?

L’ultimo rapporto è un’analisi delle possibilità e dei limiti di strategie di adattamento ai cambiamenti climatici, oggi e in futuro. Emerge l'evidenza di un crescente impatto del climate change, che espone a futuri rischi per l’ambiente, ma anche per il benessere dei cittadini, per l’organizzazione delle società e per i settori produttivi.  Si nota che la quantità dei rischi dipende dall’entità dei cambiamenti climatici: aumentano in proporzione i costi per adattarvisi, ma esistono anche rischi che vengono chiamati ‘residui’, cioè che non è possibile evitare completamente. Questo su scala globale. Ci sono poi nel rapporto capitoli dettagliati su alcune aree del mondo, come Europa e Mar Mediterraneo. Quest’ultimo per la sua struttura non rientra in nessuna tradizionale divisione regionale, essendo a cavallo tra Europa, Asia e Africa.

Che rischi ci sono in particolare per l’ecosistema del Mediterraneo?

La parte meridionale del continente europeo, che si affaccia sul Mar Mediterraneo, è particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici. Da tempo si sa che il Mediterraneo è un’area critica, dal punto di vista dell’esposizione per la salute e le attività degli ecosistemi che lo abitano. Per essere un pò più specifico, il Mediterraneo è un bacino semi-chiuso, i suoi ecosistemi sono dunque particolari. Ad esempio, in risposta all’aumento della temperatura, le specie che ci vivono hanno limitata possibilità di migrare verso nord, per evidenti limiti geografici. Sono esposte dunque a una serie combinata di minacce, sia legate al cambiamento climatico che al sovra-sfruttamento delle risorse, pensiamo alla pesca intensiva ad esempio. Ci sono anche limiti di morfologia delle coste, che non consentono alle specie nemmeno di migrare in profondità per andare verso zone più fredde.

A rischio è dunque la biodiversità?

Molte specie sono a rischio estinzione, ma anche di essere esposte al confronto con specie in arrivo da altri mari, spesso invasive e predatorie. Le rotte commerciali attuali espongono infatti il Mediterraneo alla presenza di specie che prima avevano difficoltà ad arrivarci, ma che da quasi due secoli con l'apertura del Canale di Suez hanno una scorciatoia. Mentre prima dovevano fare il giro dell’Africa. Tutto questo rende gli ecosistemi marini vulnerabili. Altro problema è la scarsezza di acqua. Gran parte del Mediterraneo è vicino alla soglia di povertà stabilita dalle Nazioni Unite per quanto riguarda l’accesso alle risorse idriche. Una caratteristica dei cambiamenti climatici è la futura diminuzione di queste risorse, anche a causa delle minori precipitazioni.

Che conseguenze provoca?

Da un lato aumentano le zone aride, dall’altro cresce la severità delle siccità. Questo ha effetti sugli ecosistemi terrestri, sull’agricoltura, sulle popolazioni. Oltre a ciò, c’è anche l’effetto stesso delle ondate di calore cui il Mediterraneo è esposto, per quanto non in modo maggiore di altre aree del mondo. Nel Mediterraneo esistono molte disparità economiche, di struttura sociale, di preparazione tecnologica, tra diverse aree e nazioni che vi si affacciano. Alcune aree sono molto più vulnerabili di altre. La Cop27 sarà ospitata dall'Egitto: bene, il delta del Nilo è particolarmente vulnerabile all’innalzamento del livello del mare, ci sono zone ad alto valore economico in prossimità della costa che senza strategie di adattamento verranno sommerse.

L’Africa, che ospiterà la prossima Cop27, deve dunque alzare la voce?

In termini di contributo al cambiamento climatico l’Africa ha avuto un ruolo molto minore rispetto a chi ha fatto uso di combustibili fossili in passato. Molte aree africane sono particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici, ma non hanno strumenti economici e tecnologici per adattarvisi. L’Europa ha invece grande capacità di adattamento, che non significa esenzione da rischi, ma maggiori risorse per adattarsi. L’Africa è nella situazione opposta. Questo è un tema di politica internazionale molto forte.

Serve dunque maggiore cooperazione internazionale?

La Ipcc ha individuato nell’ultimo rapporto diversi scenari di sviluppo, con vari tipi di dinamiche generali a livello di gestione da parte dei governi del cambiamento climatico. Oltre a stabilire l’entità del cambiamento climatico, legato ai livelli di emissioni, il rapporto considera anche i meccanismi affinché si arriva a questo tipo di durezza dei cambiamenti. Uno scenario tende alla mancanza di collaborazione a livello globale, cercando soluzioni solo a scala nazionale o regionale. Questo tipo di azione rende le strategie di adattamento meno efficaci e maggiormente difficoltose. È evidente che la mancanza di collaborazione compromette la capacità di affrontare il problema in maniera globale e efficace. Per collaborazione si intende trovare soluzione ai problemi che non si basino su azioni o strategie regionali, ma sulla condivisione di risorse, tecnologie e saperi.

Siamo ancora in tempo per cambiare marcia?

La Ipcc basa le sue affermazioni su fatti, dati e analisi, non su affermazioni ideologiche. Ci sono dei vantaggi anche nell’adattamento, in base a come vengono implementate le varie misure. Ci sono comunque due risposte possibili ai cambiamenti climatici. Una è la mitigazione, l'altra è appunto l'adattamento. La prima significa contenere il cambiamento climatico in termini di diminuzione dell’aumento globale di temperatura. Ciò passa attraverso la riduzione delle emissioni a livello globale tra Paesi che emettono di più e Paesi che emettono di meno. La cooperazione è fondamentale in questo contesto, del resto la CO2 non ha frontiere. In termini di riscaldamento climatico, ogni grado in più, anche ogni frazione di grado in più conta. Alcune azioni implementate drasticamente e con urgenza mostrano che possiamo ancora restare al di sotto di 1,5 gradi, come previsto dall'Accordo di Parigi. Ma le indicazioni parlano di urgenza, agire ora è fondamentale per evitare scenari di intenso riscaldamento globale.

E per quanto riguarda l’adattamento?

L’adattamento è diverso, è l’adattarsi al cambiamento, diminuendo i rischi a cui siamo esposti. Se si alza il livello del mare, riusciamo a proteggere le coste in qualche modo? È un ragionamento diverso. Ci sono poi adattamenti incrementali e adattamenti che implicano la trasformazione del sistema. Posso fare una diga più alta se vedo rischi di aumento delle inondazioni: questo ad esempio è un adattamento incrementale. Altrimenti, posso ritirare la linea degli insediamenti costieri, spostando le attività umane, le loro strutture, decine di metri più indietro. In un certo senso una forma di adattamento verrà per forza implementata, bisogna capire di quale tipo. Ma alcuni tipi hanno costi molto alti in termini di perdita di benessere, di perdita di servizi, di alterazione dell’ambiente. L’ambiente mediterraneo potrebbe per esempio diventare un ambiente arido. Se si superano certi limiti avremo situazioni molto diverse, in termini anche di perdite culturali e ambientali. Non ci estingueremo se perdiamo i ghiacciai delle Alpi, ma il peggioramento  delle nostre condizioni di vita sarebbe senza dubbio notevole.