Tanto rumore per nulla: l’Unione Europea sanziona solo l’industria del carbone russa. Nessuno stop a petrolio e gas da Mosca

L’Unione Europea non taglierà gli acquisti di petrolio e gas dalla Russia. Nelle ultime sanzioni approvate contro il Paese guidato da Vladimir Putin c’è solo, per quanto riguarda l’energia, uno stop alle importazioni di carbone. Una misura dall’impatto abbastanza modesto, e che si sarebbe dovuta prendere a prescindere dal conflitto in Ucraina.
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Michele Mastandrea 8 Aprile 2022

Conosci il detto "la montagna ha partorito un topolino"? Si usa per parlare di un evento molto inferiore rispetto alle attese. È una sintesi efficace di quanto avvenuto in merito alle nuove sanzioni appena approvate dai 27 Paesi dell'Unione Europea nei confronti della Russia.

Chiudere col gas, chiudere col petrolio, chiudere col carbone. Questi gli appelli e i proclami degli ultimi giorni, che sarebbero dovuti sfociare nel quinto pacchetto di azioni rivolte a contrastare le attività belliche di Mosca.

Ma alla fine, l'unica decisione presa è stata quella di tagliare le importazioni di carbone. E solamente da settembre, in base al meccanismo graduale richiesto dalla Germania. Si tratta di una misura che in realtà si sarebbe dovuta e potuta prendere a prescindere dal conflitto in Europa orientale. Il carbone è infatti uno dei combustibili più inquinanti, tra i peggiori in termini di emissioni di CO2. Per invertire la rotta in termini di riscaldamento globale, smettere di usare il carbone dovrebbe essere una priorità assoluta, guerra o non guerra.

Il carbone russo incide per circa il 45% sul totale delle importazioni dell'Unione Europea di questa materia prima. I principali Paesi importatori sono Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Germania, le cui economie sono ancora troppo dipendenti da questo combustibile. Per quanto riguarda l'Italia, importiamo soltanto lo 0,5% del carbone venduto da Mosca ai 27 Stati membri dell'Unione. Soprattutto, si tratta di un bene facilmente acquistabile da altri Paesi, come Stati Uniti e Australia: non è certo dunque un'arma con cui la Russia ottiene grandi vantaggi.

"Stiamo inasprendo le nostre sanzioni per mantenere la massima pressione sul Cremlino. Il nuovo pacchetto include un divieto sulle importazioni di carbone. E penso che prima o poi saranno necessarie anche misure sul petrolio, e persino sul gas", ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Non dando però alcuna indicazione temporale. Il Parlamento Ue ha chiesto un embargo totale a gas e petrolio, ma non ha alcun potere esecutivo. L'Alto Rappresentante per la Politica Estera Ue, Josip Borrell, ha aggiunto che di eventuali sanzioni sul petrolio russo si discuterà da lunedì prossimo.

Al momento però, si tratta di tanto rumore per nulla. Del resto, la misura vale solo tra i 4 e gli 8 miliardi di euro dei circa 100 che la Russia incassa ogni anno dall'Unione Europea in cambio di gas, petrolio e appunto carbone. Quest'ultimo vale solo il 5-6% della quota totale di combustibili che l'Ue acquista dal Paese guidato da Vladimir Putin. Una misura dunque insufficiente, sia in termini politici, sia in termini degli obiettivi energetici europei di fuoriuscita dalle fossili.

A pesare sul mancato stop a gas e petrolio è soprattutto l'eccessiva dipendenza di Paesi come Germania, Austria e Italia. Il punto resta sempre quello: aver praticamente bloccato negli scorsi anni una transizione su larga scala alle rinnovabili ci ha infilati in questa situazione. In cui allo stesso tempo si vorrebbe smettere di finanziare Putin, ma allo stesso tempo non si può evitare di farlo.

Si dirà che tagliare il carbone è un primo passo. Bene, ma rimpiazzare il carbone russo con quello statunitense o australiano non avrà alcun beneficio in ottica cambiamenti climatici. Così come continuare a comprare gas e petrolio dalla Russia o da altri Paesi. Serve invece accelerare in maniera decisa sulle energie rinnovabili, il cui costo è sempre minore come affermato anche dall'ultimo Report Ipcc sui cambiamenti climatici. Per evitare che in futuro si sia dipendenti non da Putin, ma da qualche altro Paese produttore di energie fossili.