
Gli interventi dell’uomo sugli ecosistemi hanno sempre delle conseguenze. L’introduzione, volontaria o accidentale, di nuova flora e fauna in un habitat, ad esempio, può romperne il delicato equilibrio.
È ciò che sta accadendo nelle acque interne italiane: secondo il WWF, nei nostri fiumi e laghi le specie alloctone starebbero prendendo il sopravvento sulle specie autoctone. Su 152 specie censite, solo il 38% non sono aliene – cioè immesse artificialmente in quell’ecosistema.
“Negli ultimi 50 anni le popolazioni mondiali delle specie d’acqua dolce sono diminuite dell’83%”, scrive il WWF. “L’Italia non fa eccezione e la biodiversità delle nostre acque interne è fortemente compromessa a causa di un’aggressione a tutto campo che ne ha compromesso gli equilibri e ha reso questi ambienti estremamente vulnerabili”.
Il 62% dei pesci che nuotano nelle acque interne italiane apparterrebbero oggi a specie aliene. Tra le specie autoctone (solo il 38% del totale), addirittura il 48% sarebbe a elevato rischio di estinzione. Inoltre, come spiega l’associazione ambientalista, l’Italia vanta un patrimonio di 33 specie di pesci endemiche o sub endemiche – che vivono quindi esclusivamente o quasi nella nostra penisola – che è necessario proteggere.
Alborella, Rovella, Triotto, Vairone italico, Barbo canino e tiberino, Savetta, Lasca, Trote mediterranee (Salmo ghigii e Salmo cettii), Carpione del Garda, Carpione del Fibreno e Trota marmorata sono alcuni esempi di pesci endemici o sub endemici italiani. Come tutelare questa ricca biodiversità autoctona? Per il WWF, la soluzione è quella di vietare l’immissione di nuove specie alloctone, incentivando allo stesso tempo progetti di riqualificazione degli ecosistemi fluviali.
Il fenomeno delle “bioinvasioni”, però, non rappresenta un problema solo per i pesci d’acqua dolce: secondo uno studio condotto dall’Università di Pisa, nelle acque italiane del Mediterraneo si troverebbero almeno 42 specie aliene che possono avere un impatto negativo sul benessere della biodiversità originaria.