
Un clima stabile e sicuro è un diritto umano fondamentale. O, almeno, dovrebbe esserlo. Lo sostengono, tra gli altri, le 100 organizzazioni di attivisti e cittadini che hanno aderito alla campagna Giudizio Universale per promuovere la prima causa legale contro lo Stato italiano. La prima udienza si è tenuta il 14 dicembre in forma telematica. L'accusa è quella di non fare abbastanza per mitigare i cambiamenti climatici, nascondendosi dietro toni tranquillizzanti e politiche ecologiche che non garantiscono l'inversione di rotta necessaria.
Il dibattito è in corso anche a livello internazionale e l'impianto logico è chiaro: la stabilità climatica è conditio sine qua non per il godimento di altri diritti inalienabili come quello alla vita, al cibo, all'alloggio. "L'Italia ha obiettivi climatici drammaticamente insufficienti e manca un impegno concreto – ci ha spiegato Marica Di Pierri, ricercatrice, attivista e portavoce di A Sud, associazione che da almeno 20 anni si batte per la giustizia ambientale. – Le nuove misure annunciate tra le argomentazioni difensive dello Stato, come il Piano per la transizione ecologica, non fanno che confermare che i target attuali di riduzione delle emissioni non sono adeguati ed è urgente rivederli al rialzo".
La vulnerabilità climatica del nostro Paese è evidente. Emerge nella desertificazione che colpisce le regioni del sud, nella siccità che mette a dura prova l'agricoltura lungo tutta la Penisola, nella sempre maggiore frequenza con cui si manifestano gli eventi estremi, nell'innalzamento del livello del mare di cui risentono soprattutto le zone costiere. "Il CMCC (Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici) ha disegnato scenari devastanti che potrebbero verificarsi già nei prossimi decenni – prosegue Di Pierri. – La straordinaria fragilità climatica del nostro territorio e le evidenze scientifiche esistenti a riguardo sono raccolte e sistematizzate nel report che abbiamo commissionato all'istituto di ricerca Climate Analytics e allegato all'atto di citazione".
Impatto che non potrà essere lieve. Siamo già tra i Paesi più colpiti dagli eventi climatici estremi e secondo il Global Climate Risk Index 2020, pubblicato da Germanwatch, siamo anche il sesto al mondo per numero di morti. Viene così leso prima di tutto il diritto alla vita e in secondo luogo quello alla salute, se pensiamo alle ondate di freddo e di caldo che minacciano in particolare le fasce più fragili della popolazione. A seguire, si mette in discussione anche il diritto al cibo e all'acqua, che in diverse città del sud subisce già dei razionamenti durante i mesi estivi. Gli alluvioni, poi, causano sfollamenti e perdita delle proprie abitazioni. Per non parlare delle piccole realtà agricole che in questo mare in tempesta vedono la propria sopravvivenza sempre più a rischio.
"Abbiamo fiducia che anche in Italia possa accadere quello che si sta verificando in altri Paesi europei e non solo: i tribunali stanno accettando di avere un ruolo nella battaglia climatica, perché le istanze che la fondano sono legate al rispetto di diritti fondamentali. Troviamo già esempi di vittorie in Olanda, Germania, Francia, Irlanda e Belgio. Sempre più casi indicano questa strada come nuova frontiera della lotta contro l'emergenza climatica e da questo punto di vista siamo ottimisti. Ci aspettiamo un coinvolgimento del potere giudiziario rispetto all'enorme minaccia che pende sul destino di tutti noi".
Giudizio Universale ha preso forma nel 2019, lungo il solco delle climate litigation e su esempio di Urgenda, la prima causa climatica vinta in Europa, contro il governo dei Paesi Bassi. È stato lanciato proprio da A Sud, forte di anni di esperienza sul territorio, nell'appoggio a comitati locali contro grandi impianti inquinanti, centrali a carbone, stoccaggio illegale di rifiuti e via dicendo. Facendo rete con le altre organizzazioni, hanno voluto puntare alla madre di tutte le crisi, quella climatica. Sono serviti due anni di lavori per raccogliere le evidenze scientifiche, formulare una strategia legale e arrivare all'atto di citazione vero e proprio. "Siamo convinti che questo sia uno strumento potenzialmente dirompente sia a livello di opinione pubblica che per fare pressione sulle istituzioni e sui governi in modo più efficace rispetto alle sole mobilitazioni", conclude Di Pierri.
Il prossimo appuntamento è fissato per il 21 giugno, quando il giudice sarà chiamato a esprimersi su alcune questioni già sollevate durante la prima udienza. E con Ohga continueremo a seguire l'intero processo.