Un terzo degli animali al mondo è sfruttato a scopi commerciali: per loro è l’uomo il predatore più pericoloso

Un nuovo studio ha considerato quasi 48.000 specie di vertebrati presenti sul nostro Pianeta. Di queste, oltre 14.500 vengono utilizzate per la produzione di cibo, abbigliamento, medicinali: per il 40% di loro l’uomo è un predatore centinaia di volte più letale dello squalo.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Martina Alfieri 4 Luglio 2023

Non siamo abituati a pensare all’uomo come a un predatore. In realtà, anche se la caccia non ci appartiene più come un tempo, la nostra specie rimane, per moltissimi animali, la più letale. Secondo un nuovo studio pubblicato sulla rivista Communications Biology, la civiltà umana ha un impatto centinaia di volte più nocivo sulla biodiversità rispetto a quello dello squalo bianco o del leone. Per scopi commerciali, sfruttiamo e mettiamo a rischio l’esistenza di circa un terzo di tutti i vertebrati del nostro Pianeta.

I ricercatori hanno considerato oltre 47.600 specie di vertebrati catalogati dalla Iucn – l’Unione internazionale per la conservazione della natura. Circa 15.000 di questi sono vittime di sfruttamento da parte dell’uomo. Si tratta di animali utilizzati soprattutto nell’industria alimentare (vale per il 55% delle specie individuate), ma anche, ad esempio, nel settore tessile e in quello biomedico. Molte specie, inoltre, vengono vendute come animali domestici.

Rispetto ai predatori naturali più temibili – come gli squali – la nostra specie risulta, per le altre, fino a 300 volte più letale, mentre il nostro modello di sviluppo sta spingendo verso la scomparsa degli animali coinvolti nelle attività commerciali umane.

Lo sfruttamento per il commercio di animali da compagnia, per la medicina e per altri usi riguarda oggi un numero di specie quasi pari a quelle destinate al consumo alimentare e quasi il 40% delle specie coinvolte è minacciato dallo sfruttamento umano”, si legge nella ricerca.

Come ricordano gli autori dello studio, un simile sfruttamento dello natura non è più sostenibile. Rischiamo di compromettere irrimediabilmente l’equilibrio della biodiversità e il funzionamento degli ecosistemi.

Solo di recente ha iniziato a farsi strada l’idea che il benessere animale debba divenire centrale anche nei processi e nelle politiche industriali. Nelle nuove linee guida destinate alle aziende pubblicate a giugno, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha inserito per la prima volta riferimenti al benessere animale, invitando le multinazionali che operano nei 38 stati membri a compiere scelte più etiche, che tutelino i diritti di tutte le specie.