Per visualizzare (parte) del nostro problema con la plastica ti basta seguire quella che, più o meno, è la vita di un rifiuto.
Nella vita di tutti giorni, praticamente tutti noi abbiamo a che fare con questo materiale non biodegradabile: pensa agli imballaggi che avvolgono i cibi, alle bottiglie delle bibite a cui ti aggrappi dopo l’allenamento o alle posate monouso che ancora oggi popolano mense e bar.
Un simile ammasso di plastica, quantificabile in milioni di tonnellate ogni anno, a fine vita si disperde nell’ambiente rimanendo pressoché immutabile per centinaia di anni, ovvero il tempo necessario perché si disintegri e scompaia per sempre.
I pezzi di plastica più grandi, in realtà, a un certo punto si decompongono. La loro, però, non è una bella fine dato che si trasformano in microplastiche, frammenti molto più piccoli e invisibili che ormai sono arrivati ovunque, anche dentro l’organismo umano.
Sia che parliamo di particelle di pochi millimetri sia che ci riferiamo a oggetti grandi come bottiglie, tutta la plastica presente e abbandonata nell’ambiente è destinata a riversarsi nei corsi d’acqua per finire, inesorabilmente, nei mari e negli oceani. Una cascata che giorno dopo giorno alimenta il fenomeno del “marine litter”.
Scienziati e produttori da anni cercano alternative ecologiche alla plastica e ora un gruppo di ricercatori del centro giapponese Riken sembra aver trovato una soluzione. Ovvero un materiale molto simile alla plastica ma capace di dissolversi completamente una volta a contatto con l’acqua dell’oceano.
La ricerca che hanno pubblicato sulla rivista Science descrive infatti un materiale resistente quanto la plastica a cui siamo abituati che, però, si decompone entro poche ore se immersa in acqua o anche in ambienti come il suolo e l'acqua di mare. Tutto senza rilasciare microplastiche.
I legami tra le molecole che lo compongono, infatti, sono reversibili, ma solo in specifiche condizioni: essi si rompono solo quando sono esposti alle sostanze presenti nell’acqua di mare. Basterà?