C’è chi lo butta terra e chi lo raccoglie, chi lo differenzia e chi non lo crea proprio: la vita di un rifiuto dipende solo da noi

Abbiamo seguito la vita di un rifiuto nelle sue diverse tappe. A terra, dove finisce quando un oggetto di uso quotidiano non ci serve più. Nelle mani dei ploggers, atleti di qualunque età e livello che raccolgono tutto ciò che trovano mentre corrono. Al mare, in cui si riversa creando isole di plastica o alterando gli ecosistemi animali. Nei centri di raccolta e riciclo, dove ottiene una seconda vita. E infine a Capannori: il Comune che per primo in Italia ha “dimenticato” cosa sia un rifiuto.
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Kevin Ben Alì Zinati 9 Maggio 2022

Succede con le bottigliette d’acqua, i mozziconi di sigaretta, le cicche. Succede quando mangiamo un pacchetto di patatine con i piedi affondati nella sabbia a due passi dal mare o dopo l’allenamento, quando ci dissetiamo con l’energy drink colorato bramato per chilometri.

Quando un oggetto quotidiano ha raggiunto il suo scopo e diventa un peso inutile, troppo spesso gli facciamo fare la fine apparentemente e maledettamente più facile.

Convinti che l’ambiente che ci ha fatto un po’ di spazio sia una gigantesca pattumiera capace di ingoiare tutto (scarti e peccati) lo gettiamo via, abbandonandolo in giro per il mondo.

Questa cattiva abitudine ha un nome: «littering». Tradotto, è letteralmente il gesto di abbandonare rifiuti all’aria aperta ovunque più ci piaccia. E, nemmeno a dirlo, siamo pure bravi a farlo.

Secondo gli ultimi rapporti di Legambiente, nel 2021 potevi trovare 783 rifiuti solo percorrendo cento metri di spiaggia e ben 6 rifiuti ogni metro quadrato di una passeggiata in un bellissimo parco urbano.

Prima fermata: la terra

Scaraventare via un rifiuto e regalarlo ai trucchi illusionistici del vento o del mare è facile perché forse non ci si chiede mai cosa capita una volta che la gomma o la lattina si stacca dalla tua mano: dove vadove non va e cosa combina.

Altre volte invece è più facile lamentarsi del problema piuttosto che cercare di risolverlo. Anche quando la soluzione è vicinissima: in quella frazione di secondo tra noi e l’ultima briciola del sacchetto o letteralmente nelle nostre mani.

Quando va bene, nella vita di un rifiuto entrano in gioco personaggi determinati e coraggiosi, armati di guanti e sacchetto e con una propensione al sudore. Come Roberto Cavallo. Forse te lo ricorderai: è l’eco-runner in prima linea per la tutela dell’ambiente che nel 2021 ha messo in piedi i primi campionati mondiali di plogging.

L’abbiamo raggiunto a Orciano Pisano, durante una delle tappe dell’ottava edizione della «Keep Clean And Run», l’eco-maratona di plogging più lunga del mondo. Ogni anno Roberto arruola altri atleti ambientalisti e corre da un angolo all’altro dell’Italia per raccogliere tutti i rifiuti che incontra sul percorso.

Roberto sorride sempre e parla con la saggezza calma di un fratello maggiore. La stessa con cui ci ha spiegato che per combattere l’inquinamento da rifiuti ci sono due segreti: la volontà e un pizzico di fatica. “Ma non quella fatica che ci fa diventare eroi. La fatica che tutti i giorni dobbiamo fare per portare a termine un po’ di allenamento. Possiamo ottenere il cambiamento che ci serve modificando le cose poco per volta”.

Roberto mentre scende di corsa dalle colline di Orciano Pisano, con in mano una bottiglia di plastica schiacciata e tolta dall’ambiente.

Quattrocento chilometri alla volta, Roberto si è fatto un’idea dei contorni che definiscono il littering nei nostri sentieri, nei boschi e nelle nostre strade bianche: si parla di circa 150 grammi di rifiuti al chilometro, quantità che sale intorno ai due chili quando si incontra l’asfalto.

Accanto agli scarti solidi che vediamo, ci sono però anche quelli che non vediamo ma che invece respiriamo. Roberto per questo si fatto prestare un «naso elettronico» che ha attaccato al suo zainetto da trail.

È un dispositivo che filtra l’aria analizzando le concentrazioni di polveri sottili, PM1, 2,5 e 10, di CO2 e degli ossidi di azoto originati dalle combustioni. Così può sapere in diretta qual è la qualità dell’aria delle zone che attraversa.

Giulia, Roberto e un copertone, l’ennesimo ritrovato durante questa Keep Clean And Run. Photo credit: Stefano Jeantet.

In quest’ultimo viaggio, partito dall’isola d’Elba e conclusosi sulle spiagge bianche di Stintino, in Sardegna, Roberto ha scelto due accompagnatori di spessore e con un peso sportivo ma soprattutto umano non indifferente.

Sull’isola sarda ha corso fianco a fianco con Lino Cianciotto, atleta paralimpico che ha perso la gamba destra a causa di un incidente in montagna. A fare plogging con noi lungo le verdi colline toscane c’era invece Giulia Vinco, ultrarunner e finisher del leggendario Tor des Gèants nel 2017 che ha accompagnato Roberto lungo tutte le tappe del Kcr2022.

Giulia sulle salite pare una farfalla, ha due occhi azzurri dolci ma potenti e le piace scrivere. Tra una lampadina scovata appisolata sotto un albero e i bossoli delle attività dei cacciatori infilati nello zaino, ci ha svelato che le gare finalizzate a un traguardo e a una medaglia non le bastano più.

Roberto e Giulia mentre cercano il sentiero giusto per attraversare i boschi.

Vuole fare plogging perché sente che è arrivato il momento di fare la differenza e di trasformare il suo sport – le maratone in montagna – nel suo personalissimo modo di lottare per il Pianeta.

Seconda fermata: il mare

Quando non ci sono ploggers a raccoglierli, i rifiuti restano lì a terra, immobili. Succede poche volte. Molto più spesso, invece, i rifiuti camminano, si spostano e per farcela pagare per averli abbandonati in un angolo decidono di invadere il mondo.

Così si riversano nei fiumi, nei torrenti. Nuotano sopra e sotto la superficie delle acque arrivando più in là che possono: nel mare.

Certo, una piccola frazione di sporcizia marina deriva dalle attività di pesca e dal trasporto navale ma la maggior parte arriva da noi. È il cosiddetto «marine litter»: l’insieme di tutti i rifiuti di origine terrestre che da terra finisce negli oceani.

Non dimenticare infatti che l’Italia ha una struttura orografica particolare, con l’Appennino che dalla Sicilia attraversa l’Italia fino alla Pianura Padana e due bacini sversanti caratterizzati da reticoli di torrenti e fiumi. È chiaro quindi che se butti la cartaccia o la bottiglietta a terra sulle Alpi, come purtroppo fanno in molti, è garantito che in un modo nell’altro arriverà al mare.

“L’aspetto più preoccupante è che la stragrande maggioranza di questi rifiuti è rappresentata dalla plastica, circa 8-12 milioni di tonnellate”. Secondo il professor Silvestro Greco, biologo marino e dirigente di ricerca della Stazione Zoologica Anton Dohrn, l’attenzione dovrebbe però andare più su quella che si deposita sul fondo piuttosto che quella galleggiante, che  rappresenta solo il 6,5%. “Quando si racconta che nell’oceano Pacifico c’è un’isola di plastica grande quanto la Francia non si dice tuttavia che sotto c’è un continente grande quanto l’Europa”. 

Il professor Greco, biologo marino, ci ha raccontato che la parte più preoccupante del marine litter non è la plastica galleggiante, bensì quella che si deposita sul fondo e che degradandosi finisce nella catena alimentare animale e umana.

Tutto questo con il tempo si trasforma da macro a micro fino a nanoplastiche finendo per invadere e alterare i cicli vitali degli ecosistemi marini. “Pensavamo che lo zooplancton si nutrisse di plastica per sbaglio – ha spiegato il biologo marino – e invece abbiamo scoperto che questi animali abbandono la prede abituali per mangiare sopra le fibre di plastica perché ne sono attratti”. 

Nell’oceano Pacifico c’è un’isola di plastica grande quanto la Francia ma sotto c’è un continente grande quanto l’Europa

Prof. Silvestro Greco, biologo marino

L’introduzione della Sup e quindi lo stop al monouso potrebbe diventare un alleato importante nella battaglia contro l’inquinamento da plastica ma è chiaro che serve di più. Anche perché, come sai, la fermata successiva di questa parte del viaggio di un rifiuti di plastica siamo proprio noi.

“Abbiamo dati che dimostrano che mangiamo 5 grammi di plastica a settimana, l’equivalente di una carta di credito ha sottolineato il professor Greco, ricordando poi le microplastiche ritrovate nella placenta o nel sangue umano. “Questo è l’effetto: qualsiasi cosa si fa nell’ecosistema marino o terrestre in un modo o nell’altro si ritorce contro la nostra specie”.

Cambio rotta: il cestino (giusto) 

Per quanto facile, utile e anche divertente possa essere, il plogging è una delle possibili contromosse ma non è certo la soluzione definitiva. Contro il fenomeno littering è decisivo un altro «sport». Raccogliere i rifiuti e fare una corretta raccolta differenziata. Te lo dimostra l’altra parte del viaggio di un rifiuto, quella che intraprende «quando va bene» e viene differenziato nel modo giusto.

Siamo andati a scoprirla da vicino alla Revet, una delle più grandi aziende di raccolta e smaltimento rifiuti d’Italia e punto di riferimento per gli scarti della Toscana, in particolar modo le plastiche visto che rappresentano circa l'80% dei flussi di materiale lavorato qui.

In un giro labirintico tra i nastri trasportatori e le balle di rifiuti alte come cattedrali, il presidente Nicola Ciolini ci ha raccontato con soddisfazione che ogni anno circa alla Revet passano 220mila tonnellate di plastica: “Di queste riusciamo a recuperarne circa il 65%. Una volta selezionato per tipologia a colore, il rifiuto plastico viene inviato alle aziende del riciclo per ricostruire manufatti in plastica”.

Il presidente Nicola Ciolini, a destra, ci ha guidati in un tour tra i labirinti della Revet inseguendo la vita di un rifiuto destinato al riciclo. Poi ci ha raccontato le attività della "sua" azienda di fronte a quelle che ha definito delle "cattedrali di plastica".

Revet si occupa della raccolta e del ritiro della raccolta differenziata del territorio toscano e dei processi di selezione e preparazione ma oltre a questo c'è tutta l'attività che riguarda quelle che tra i corridoio dell'azienda hanno ribattezzato «plasmix», ovvero "una serie di plastiche che prendono una strada diversa e composta da scarti o frazioni troppo piccole senza una destinazione definitiva".

Alla Revet passano 220mila tonnellate di plastica ogni anno e di queste riusciamo a recuperarne circa il 65%

Nicola Ciolini, presidente Revet

Anche dal granulo derivato dalla gestione di questi materiali parte poi ricostruzione di nuovi materiali, come gioielli.

Alla Revet, così come in tutte le altre attività di raccolta e riciclo, si ridà ai rifiuti una seconda vita.

In bicicletta in salita 

La vita di un rifiuto, fin qui, appare lineare. Quando va bene e finisce per terra c’è qualcuno che lo raccoglie altrimenti migra verso il mare, mette a soqquadro qualche ecosistema per poi ritornare a casa, in qualche modo.

Se invece lo differenzi bene può fare marcia indietro e ritornare tra le tue mani sotto forma di oggetti nuovi, con altri usi e scopi regalatigli senza impiegare nuova materia e nuovi costi.

Dati dimostrano che mangiamo 5 grammi di plastica a settimana, l’equivalente di una carta di credito

Silvestro Greco, biologo marino

Ma la vita di un rifiuto potrebbe essere diversa, sai? Potrebbe, per esempio, non iniziare nemmeno.

Domanda, provocazione, sogno? Il Comune di Capannori l'ha vista e vissuta come una sfida, una missione, un obiettivo "idealistico in un tempo realistico" come l'ha definita Rossa Ercolini, attivista ecologico e oggi direttore di ZeroWaste Italia.

Rossano Ercolini è un maestro di scuola elementare ma dal 2007 in poi è stato il faro della rivoluzione verso la strategia Rifiuti Zero portata avanti dal suo Comune, Capannori.

Era il 2007 quando questa cittadina con poco meno di cinquantamila abitanti a una manciata di chilometri di Lucca è diventata la prima realtà in Italia ad adottare la strategia «Rifiuti Zero». E oggi altri 330 su oltre 7mila comuni italiani hanno seguito il suo esempio.

Tra gli alfieri protagonisti che hanno dato forma concreta a questa rivoluzione c’è stato sicuramente Rossano Ercolini, con la sua passione, la sua determinazione e la capacità di sognare e far sognare gli altri.

"Il punto di arrivo di questo viaggio verso i rifiuti zero è importante ma lo è molto di più il tendere a allo zero, la volontà. Che muove lungo una road map di 10 punti tra i più importanti dei quali emerge senza dubbio la raccolta differenziata. Se si mischiano gli scarti, quindi la frazione organica con il resto si hanno i rifiuti ma se invece le si tengono separate si avranno in mano preziosi materiali per l’economia sia nei cicli manifatturieri sia nei cicli agronomici" ha spiegato Ercolini, che nel 2013 è stato anche insignito del Goldman Environmental Prize, una sorta di premio Nobel per l'Ambiente.

Una giornata, una settimana, un anno a Capannori, in sostanza, significa vivere aderendo a filosofia basata sull'economia circolare e sul riuso, su un sistema virtuoso di ritiro degli scarti attraverso un oliatissimo sistema di raccolta porta-a-porta e su una raccolta differenziata efficace al 90%.

Se si tengono separate le frazioni di rifiuti si avranno in mano preziosi materiali per l’economia

Rossano Ercolini, attivista ecologico

Certo qualcosa ancora rimane sullo stomaco del sistema dei digestione dei rifiuti di Capannori. Analizzando il sacco dei rifiuti urbani il Centro guidato dal professor Ercolini ha scoperto che persistono tre famiglie di scarti: "La prima è costituita dai conferimenti sbagliati, come la buccia di banana finita nel sacco grigio anziché nel bidone dell'organico: problema che si tratta con la giusta informazione. Poi c'è la famiglia delle sneakers dei bambini non più calzabili o dei vestiti usati, ai quali rispondiamo promuovendo il riuso. La terza famiglia invece è rappresentata dai prodotti che non sono riciclabili o compostabili". 

Questi ultimi li vediamo sopra le nostre teste, mentre parliamo. Sono 24 oggetti quotidiani, appesi in bella vista su una tavola di legno. Ercolini l'ha ribattezzata la «doppia sporca dozzina», l'insieme di tutti quegli oggetti quotidiani che non hanno alternativa allo smaltimento. "Siccome sono errori di progettazione li rimettiamo nelle mani dei produttori, è una responsabilità loro. Insieme però vogliamo collaborare per riprogettarlo in modo che diventino digeribile per il sistema". 

Rifiuti Zero è obiettivo idealistico in un tempo realistico

Rossano Ercolini, attivista ecologico

(In)seguire il traguardo dei Rifiuti Zero non è una strada facile. Ercolini la visualizza come una corsa in bicicletta in salita: "Non ci dobbiamo mai fermare, se si smette di pedalare la bici non ha più inerzia e torna indietro". Ma che cosa serve davvero per metterci in moto? Per affrontare il falsopiano? Il professore non ha dubbi: "La partecipazione e il coinvolgimento della gente. Le persone si devono sentire protagoniste".

Rossano Ercolini lotta contro l'inquinamento da rifiuti e da anni escogita ogni modo possibile per liberarcene. Nella vita di tutti i giorni però è anche un maestro di scuola elementare. Ogni mattina è quindi a contatto con i bambini, i «suoi» bambini che, come lui, hanno ancora gli occhi sognatori. Per accenderli, secondo Ercolini, basta poco."Servono le store positive. Ognuno di noi è una goccia d’acqua: se stanno da sole evaporano ma se si mettono insieme formano l’oceano, il mare del cambiamento. E quando i bambini si mobilitano tuti insieme, sono devastanti".

Questo viaggio ci ha insegnato che la vita di un rifiuto dipende proprio da te, da noi e da come decidiamo di interpretare la nostra vita. Dipende da quella frazione di secondo che sta tra te e l’ultima goccia della bibita o la briciola del sacchetto.

Roberto Cavallo ha riassunto questa lezione con il suo sorriso contagioso: "La vita di un rifiuto è lo straordinario ciclo della materia: nulla ha fine e tutto torna. E allora buttiamo il rifiuto nel posto giusto perché solo così può nuova materia torna a vivere.

Il video e le immagini sono state realizzate da Beatrice Barra, che ha contribuito anche all'ideazione e allo sviluppo del progetto.