Violenza ostetrica: cosa accade dietro le porte delle strutture ospedaliere?

Commenti sessisti, umiliazioni, mancanza di privacy e operazioni effettuate senza consenso: il quadro dipinto dalle vittime di violenza ostetrica mette i brividi. Ma le sue radici possono essere spezzate.
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Beatrice Barra 2 Febbraio 2023
* ultima modifica il 02/02/2023

Da giorni non si fa che parlare di violenza ostetrica. Sui social migliaia di donne stanno trovando il coraggio, spesso per la prima volta, di denunciare le violenze subite dentro e fuori la sala parto.  Ma a cosa ci riferiamo quando parliamo di violenza ostetrica?

Il caso di cronaca che ha risvegliato la coscienza collettiva

Il fatto di cronaca che ha portato l'argomento sotto i riflettori è quello avvenuto all'Ospedale Pertini di Roma, dove un neonato è morto mentre veniva allattato dalla madre che si è addormentata stremata dal travaglio.

Dopo 17 ore di travaglio la donna ha raccontato di essersi trovata in difficoltà e di aver chiesto aiuto al personale ospedaliero: un aiuto che le è stato negato, lasciandola sola a prendersi cura del suo bambino. Sono tantissimi i commenti di solidarietà nei suoi confronti e le accuse di negligenza agli operatori sanitari che, teoricamente, si sarebbero dovuti prendere cura di una persona in difficoltà.

Violenza ostetrica: cosa è?

Devi sapere che quando si parla di violenza ostetrica non ci si riferisce a una violenza praticata solo dalle ostetriche. Il termine, infatti, riguarda una categoria molto ampia di violenze che avvengono durante le cure ostetriche e ginecologiche: è riferito a tutte le donne, e non solo alle partorienti, non si fermano al momento del parto e possono essere messe in atto da tutti gli operatori sanitari.

Violenza ostetrica, per esempio, è quando ti rechi dal ginecologo e ricevi commenti sessisti, quando non viene rispettata la tua riservatezza, quando, mentre stai partorendo, il personale medico effettua un'operazione dolorosa e potenzialmente dannosa senza il tuo consenso o senza che ce ne sia davvero necessità.

Solo recentemente si è iniziato a discutere di quello che accade davvero in sala parto. Le testimonianze di abusi che sono arrivate da moltissime mamme dipingono un quadro da brividi, perché nella maggior parte dei casi perdono completamente il diritto di prendere decisioni che hanno ripercussioni dirette sul loro stesso corpo.

Un ricorso "eccessivo" ai cesarei

Per esempio vengono effettuati tagli cesarei non necessari e non richiesti dalle madri, spesso perché “programmabili” e associati alla disponibilità e all’organizzazione delle strutture, ma che di fatto corrispondono a una degenza più lunga per le donne e una sofferenza, in alcuni casi, evitabile.

Pensa che nel 2020 in Italia, secondo il Ministero della Salute, questa tendenza ha toccato circa il 31%, un ricorso alla pratica che anche il ministero definisce come “eccessivo”.

1,6 milioni di episiotomie "a tradimento"

Non solo: sempre in Italia più della metà delle partorienti viene sottoposta all’episiotomia. In sostanza si tratta di un taglio che viene fatto tra la vagina e l’ano e che facilita il parto vaginale. Ma questa pratica, che il più delle volte viene eseguita senza anestesia, viene fatta spesso senza che ce ne sia una reale necessità.

Secondo un’indagine dell’Osservatorio sulla Violenza ostetrica in Italia condotta nel 2017, su 5 milioni di donne intervistate, 1,6 milioni di partorienti hanno subito un episiotomia “a tradimento” cioè senza consenso informato. Una pratica che addirittura l’OMS definisce“dannosa, tranne in rari casi” e che quando praticata senza consenso e senza anestesia può avere gravi ripercussioni sulla vita sessuale delle donne e sulla loro salute mentale.

Dalla "manovra di Kristeller" al "punto del marito": tutte le facce della violenza ostetrica

A queste si aggiunge la “manovra di Kristeller" – una pratica dolorosa che prevede l’applicazione di una forte pressione sulla pancia della mamma per spingere verso il basso il bambino – anche questa da tempo non raccomandata dall’OMS. E ancora: l’uso eccessivo di ossitocina sintetica (un ormone che induce le contrazioni), l’impossibilità di scegliere la posizione preferita per il parto, il rifiuto di somministrare un anestetico come l’epidurale e la pratica diffusa di suturare eventuali lacerazioni con dei punti “extra”, non necessari. Quest’ultima pratica è anche conosciuta come “il punto del marito” (un nome che è già tutto un programma), perché fatta con l’intento di restringere la vagina e aumentare il piacere sessuale del partner maschile in un eventuale rapporto penetrativo nei mesi successivi al parto.

E come se non fosse già abbastanza, a tutte queste pratiche si aggiungono gli abusi verbali, le umiliazioni e le affermazioni sessiste.

Le origini del fenomeno

Di violenza ostetrica si è iniziato a parlare solo recentemente, pensate che il termine è apparso la prima volta in alcuni paesi dell’America latina agli inizi degli anni 2000 grazie a dei movimenti di protesta, per poi arrivare a diffondersi nel resto del mondo. Tanto da portare l’OMS nel 2014 a scrivere un documento per la prevenzione e l’eliminazione dell’abuso e mancanza di rispetto durante il parto.

La cultura patriarcale

Ma dove vanno cercate le radici di questo fenomeno? La violenza ostetrica, innanzitutto, riflette una cultura patriarcale ancora dominante nella nostra società e che ritroviamo all’interno del campo medico. Si basa su degli stereotipi di genere che portano a non prendere sul serio i vissuti e i racconti delle donne, che sono sempre o “troppo emotive” o “vulnerabili”, al punto da escluderle direttamente dal processo decisionale che riguarda il loro parto e il loro corpo. Per cui si tende a intervenire sul corpo delle donne in modo invasivo senza neanche chiedere il permesso.

Sistema sanitario al collasso

A questa cultura va aggiunto un altro aspetto fondamentale: le condizioni di salute del sistema sanitario. La mancanza di personale e personale sottopagato di certo non permette allo staff medico di poter svolgere al  meglio il proprio lavoro. Secondo l’ultimo rapporto Crea (Centro per la Ricerca Economica Applicata in Sanità) in Italia mancano 30mila medici e 250mila infermieri: puoi immaginare quindi i turni massacranti e livelli di stress molto alti che lo staff medico deve gestire. E a rimetterci in tutto questo sono ovviamente le pazienti che smettono di essere trattate con umanità.

Le conseguenze di questo sono che molto spesso le mamme smettono di essere individui quando entrano in ospedale. Gli operatori ricorrono a queste procedure a cui sottopongono la donna in maniera standard, anche quando non necessario, come se ogni parto non fosse diverso da un altro.

La situazione in Italia

In Italia solo negli ultimi anni le donne hanno iniziato a far sentire la propria voce e a denunciare queste violenze – grazie a varie campagne, come “#BastaTacere: le madri hanno una voce”, che dal 2016 hanno acceso una luce sulla questione.

Questo “ritardo” si spiega dal fatto che le donne stesse hanno fatto fatica a riconoscere di essere vittime in quanto queste procedure erano legittimate da tutti: considerate cioè normali. Detto questo ci sono varie cose che lo Stato può fare per porre fine a questa violenza. Innanzitutto, anche se non dovremmo ribadire questo concetto, sarebbe opportuno che la societa imparasse a validare i vissuti e le emozioni delle partorienti e delle neo mamme, ad ascoltarle e quindi monitorare ciò che accade in ospedale. Riconoscere queste pratiche come una violazione dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne e investire sul sistema sanitario.

Con un figlio arriva la gioia, ma anche la stanchezza

E poi bisognerebbe ricordare alle mamme che non sono costrette ad essere sempre invincibili, perché anche se nessuno te lo dice, quando arriva un figlio, oltre la gioia, arriva anche la stanchezza. Ed è normale. La nascita non è una procedura meccanica, ha delle forti ricadute psicologiche e sociali sulla madre e anche sul bambino. Il bambino è sano se sta bene la mamma, perché la salute emotiva e psicologica non si vede subito ed è data dal benessere di entrambi. E l’esperienza del parto in questo è determinante, perché una donna che ha subito un trauma ha molte più possibilità di sviluppare una depressione post-partum.

Quello che è successo pochi giorni fa all’ospedale Pertini di Roma è stata una tragedia che si sarebbe potuta evitare. Quella mamma è stata l'ennesima vittima di un’idea sbagliata di maternità e di un sistema sanitario al collasso. Una società che pretende che una mamma si alzi dal letto per cambiare il pannolino di suo figlio anche se ha appena affrontato 17 ore di travaglio non è una società che rispetta le donne, ne tantomeno le madri. È una narrazione tossica che va cambiata. Perché è normale chiedere aiuto e riceverlo è un diritto. Ma fin quando non riusciremo a sdoganare questa idea che per essere una buona madre bisogna soffrire, non andremo da nessuna parte.

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