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Vittoria storica per i santuari degli animali: anche secondo la legge non sono più “allevamenti”

Per la prima volta nella storia un atto normativo, il decreto ministeriale del 7 marzo 2023, riconosce i “santuari”, strutture rifugio per animali salvati o sottratti da allevamenti intensivi, come realtà a sé e non più come una sottocategoria degli allevamenti.
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Maria Teresa Gasbarrone 5 Giugno 2023

Lo chiedevano da più di dieci anni, ora finalmente i cosiddetti "santuari" – ovvero quelle strutture-rifugio che ospitano, salvandoli da un triste destino, animali vittime di maltrattamenti o sottratti da allevamenti intensivi – sono riconosciuti anche secondo la legge come realtà distinte dagli allevamenti.

Finora infatti queste strutture – ce ne sono diverse in tutta Italia – rientravano nella dicitura di "allevamenti". Una classificazione che i gestori dei santuari proprio non sentivano loro: l'idea da cui nascono è infatti agli antipodi rispetto agli scopi di un tradizionale allevamento. Al loro interno gli animali, mucche, galline o maiali che siano, vengono accolti e rispettati, senza che la loro esistenza sia sfruttata per gli interessi dell'uomo.

L'importante riconoscimento giuridico è stato sancito dal decreto ministeriale del 7 marzo 2023, pubblicato in Gazzetta ufficiale lo scorso 16 maggio, in cui per la prima volta in un testo normativo si legge la parola "santuari".

Perché è un risultato importante

Con il recente decreto ministeriale è stato pubblicato il "Manuale operativo inerente alla gestione e al funzionamento del sistema di identificazione e registrazione degli operatori, degli stabilimenti e degli animali" che attua il decreto legislativo 134 del 2022. È proprio in questo documento che per la prima volta in assoluto viene utilizzato il termine "santuario".

Si trova a pagina 23, precisamente al punto 12, comma 3, sottopunto C. Qui, tra le voci comprese la categoria del “Rifugio per animali diversi da cani, gatti e furetti”, viene riportata espressamente la dicitura "santuario" per descrivere il "𝐑𝐢𝐟𝐮𝐠𝐢𝐨 𝐩𝐞𝐫𝐦𝐚𝐧𝐞𝐧𝐭𝐞 (𝐜𝐨𝐬𝐢̀ 𝐝𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐬𝐚𝐧𝐭𝐮𝐚𝐫𝐢𝐨) che ricovera bovini, equini, ovini, caprini, suini, ecc".

I primi a esultare per questa vittoria sono proprio loro, i proprietari dei santuari italiani. L'associazione che li rappresenta, la "Rete dei Santuari di Animali Liberi", non ha nascosto l'emozione per il risultato ottenuto.

"È 𝐠𝐢𝐮𝐧𝐭𝐨 – si legge sulla loro pagina Facebook – 𝐢𝐥 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐠𝐢𝐮𝐫𝐢𝐝𝐢𝐜𝐨 che attendevamo. Per il quale abbiamo lavorato tanto. In salita, quando di santuari ancora si parlava poco o niente. E ci viene un po’ da piangere. Di gioia e felicità. Siamo commossi. E soddisfatti. Perché avevamo ragione. Abbiamo sempre avuto ragione. Fin dall’inizio.

Un post molto lungo, in cui Rete dei Santuari di Animali Liberi, oltre a esprimere tutta la sua soddisfazione per il risultato, ha spiegato perché questo riconoscimento è così importante. Il punto è che uscire dalla classificazione di "allevamenti" permette a queste strutture di essere nella sezione Sinac, ovvero quella degli animali da compagnia.

È questa l'altra novità storica che questo decreto riconosce: per la prima volta animali tradizionalmente riconosciuti come "da allevamento" vengono classificati alla pari di cani, gatti e furetti.

"Un luogo irraggiungibile. Dove solo cani gatti e furetti potevano stare. E, invece, eccoci qui. Con l’incredibile che diventa possibile. L’inaudito che va in scena", continua il post.

Solo un inizio per i diritti degli animali

Eppure la strada a difesa degli animali, sottolinea l'associazione, è ancora tutta da percorrere, soprattutto oggi, tra crisi climatica ed emergenze annesse:

"Ma sarà un punto di partenza su cui lavorare e costruire. Per tradurre in realtà quel piccolo miracolo che i santuari rappresentano. La speranza. Di fronte alla desolazione, tutta intorno. Che ora, più che mai, tra la furia della natura, l’alluvione e l’efferatezza dei maltrattamenti all’ordine del giorno, mostra l’orrore inaccettabile di un sistema produttivo in rovina. L’agonia di un mondo morente da cui occorre staccarsi e prendere sempre più le distanze".