
L'acqua radioattiva, trattata e immagazzinata nella centrale nucleare di Fukushima, in Giappone, potrà essere rilasciata nell'Oceano Pacifico. L'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) ha dato ufficialmente il via libera allo sversamento di oltre un milione di tonnellate di quel liquido, dichiarando che il programma del governo rispetta gli standard di sicurezza globali. Secondo il report stilato dall'Agenzia, infatti, grazie al trattamento, quell'acqua avrà "un impatto radiologico trascurabile sulle persone e sull'ambiente". Da un punto di vista scientifico, dunque, nessun ostacolo al piano di Tokyo, ma la decisione definitiva deve ancora arrivare e, nel frattempo, sono esplose le proteste: la Cina accusa il vicino nipponico di "utilizzare l'oceano come una fogna", mentre in Corea del Sud è insorta persino la Conferenza episcopale cattolica del Paese.
Ma quindi che impatto potrebbero avere queste acque sull'ecosistema oceanico? E cosa potrebbe accadere ai bagnanti che hanno già iniziato ad affollare le spiagge?
Prima di tutto, devi sapere che il rilascio dell'acqua di Fukushima nel Pacifico è una questione di cui ormai si discute da anni e, a livello di opinione pubblica, il caso era scoppiato ad aprile 2021, pochi giorni prima dall'inizio delle Olimpiadi di Tokyo.
Quando nel 2011 la centrale nucleare riportò gravi danni in seguito al terremoto di magnituto 9,1 e allo tsunami che si abbattè sulla costa nord del Giappone, l'acqua di mare fu impiegata per raffreddare i reattori danneggiati. Dopodiché venne imagazzinata in circa un migliaio di serbatoi vicino alla centrale, che oggi però risultano pieni al 98%. Quello che spaventa la maggior parte delle persone, come si può facilmente intuire, sono i possibili elementi radioattivi che il liquido ha raccolto entrando in contatto con il materiale presente nella struttura. L'acqua, però, ha subito un processo di purificazione attraverso il metodo ALPS (Advanced Liquid Processing System, ndr), grazie al quale vengono eliminati proprio gli elementi più pesanti e pericolosi come il cesio-137 e lo iodio-131. Quello che rimane è il trizio, un isotopo dell'idrogeno impiegato anche per realizzare la fusione nucleare.
Sì, il trizio è radioattivo, ma "radioattivo non significa di per sé pericoloso", ci aveva spiegato il fisico Marco Casolino, primo ricercatore presso la sezione INFN di Roma Tor Vergata, in un'intervista. "Il punto centrale è questo – aveva aggiunto: – stiamo parlando di quantità non pericolose e di numeri estremamente piccoli, soprattutto in rapporto a tutti gli elementi radioattivi disciolti presenti naturalmente in un'area immensa come quella dell'oceano Pacifico". In poche parole, di fronte alla vastità dell'oceano, quei rimasugli di trizio contenuti nell'acqua di Fukushima non dovrebbero creare problemi. Nè a fauna e flora, né ai bagnanti estivi, seppur chiaramente sarà meglio evitare di bere quell'acqua.
Questo, però, a patto che l'intera operazione venga organizzata nel dettaglio e dunque si eviti lo sversamento di tutte le tonnellate in un'unico punto del Pacifico. Meglio distribuirle e favorire quindi la diluizione e la dispersione. "Stiamo parlando di una parte per 7 milioni circa. In altre parole, per 7 milioni di elementi radioattivi presenti nell'oceano Pacifico, tutta Fukushima vale uno. È come avere in una cassaforte 7 milioni di euro e aggiungere una moneta di un euro", aveva concluso Casolino.
L'Aiea ha inoltre garantito che, qualora il governo decidesse effettivamente di procedere, sarà prensente in modo permanente nella zona della centrale per monitorare l'intera procedura e condividerà i dati con la comunità globale praticamente in tempo reale. Potrebbero volerci anche 10 anni per portare a termine lo sversamento. L'analisi finale dell'Agenzia è il risultato di sei rapporti precedenti che erano stati pubblicati tra aprile 2022 e maggio 2023, oltre che di diversi confronti con i funzionari della Tokyo ElectricPower (Tepco), che gestisce l'impianto, la Nra (Japan Nuclear Regulation Authority) e il Ministero dell'Economia.
Più che un problema ambientale, dunque, sembra più una questione di immagine, rispetto appunto alla stagione estiva ormai entrata nel vivo, e di relazioni diplomatiche con gli altri Paesi. Ma di questo dovranno occuparsi soprattutto i rappresentati politici.