Anche con il traffico fuori gioco l’inquinamento non si azzera: questo perché i fattori sono molti di più

Le emissioni che tendiamo ad associare al traffico delle automobili, derivano in realtà da tutta una serie di fattori ambientali che fanno in modo di impedire un calo davvero drastico dell’inquinamento in determinate zone.
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Sara Del Dot 7 Aprile 2020

Ne sentiamo parlare in continuazione: con lo stato di lockdown in cui ci troviamo l’inquinamento atmosferico dovrebbe calare, l’aria dovrebbe essere più pulita e respirare a pieni polmoni non dovrebbe più essere un problema. Tuttavia i dati indicano che non è proprio così. Perché le particelle che fluttuano nell’aria e invadono i nostri polmoni, non derivano soltanto dalla combustione delle automobili che stiamo lasciando in garage.

Certo, le immagini satellitari che mostravano parti del Paese completamente sgombre di nubi di particolato le abbiamo viste e ce le ricordiamo. Ricordiamo anche il senso di speranza e di salvezza ambientale che ci hanno trasmesso, facendoci forse riflettere su quanto questo lockdown stia aiutando l’ambiente in cui viviamo. Ma è davvero così? Secondo i dati di Arpa Lombardia raccolti nel report che analizza le rilevazioni avvenute da poco prima del primo DPCM dell’8 marzo fino al 29 dello stesso mese, di cui abbiamo già parlato, le sostanze che permangono nell’aria sono diverse e derivano da diverse sorgenti. Non è il traffico l’unica fonte di inquinamento, e questo lo sappiamo. Se infatti le nostre strade risultano sgombre di veicoli, ciò non accade per le caldaie e gli impianti di riscaldamento delle nostre case, le produzioni agricole e zootecniche e alcuni impianti produttivi.

Le variazioni dei livelli di inquinamento, sottolinea ARPA, dipendono infatti da diverse variabili, tra cui condizioni meteorologiche (il vento e la pioggia sono infatti i principali fattori che riescono a liberarci temporaneamente dalle particelle inquinanti), i fenomeni chimico-fisici che avvengono in atmosfera e la trasformazione e la persistenza nell’ambiente di questi oggetti inquinanti.

Proprio per questo la correlazione inquinamento-traffico, o almeno l’esclusiva considerazione di essa, è sbagliata. Eccoti degli esempi per capire la questione in modo più approfondito.

Se pensi che il PM10 derivi soltanto dalla tua automobile e da quanto la utilizzi, devi ricrederti. Il PM10 infatti deriva sì dal trasporto, ma anche dal riscaldamento domestico, dalle attività produttive meccaniche e dall’influenza delle emissioni di tutto il bacino circostante, ad esempio la pianura padana per quanto riguarda il nord Italia.

Sicuramente il biossido di azoto e il monossido di azoto presentano livelli molto più bassi dal momento che il traffico è la fonte primaria di ossidi di azoto, così come del PM2,5 e del benzene. D’altra parte questa loro diminuzione implica una maggiore persistenza di un'altra sostanza, l’ozono.

E così è anche per l’ammoniaca, NH3, che con il traffico non ha praticamente nulla a che fare ma proviene principalmente dalle attività agricole e zootechiche, che in questo periodo proseguono senza interruzioni e i cui livelli quindi rimangono elevati.

Insomma, meno traffico non implica necessariamente meno inquinamento. D’altra parte, resta il fatto che determinate emissioni abbiano subito un abbassamento e quindi se la situazione fosse “normale” probabilmente il livello di inquinamento sarebbe ancora più alto. Che fare quindi? Dove agire, se non sulla nostra mobilità, per ridurre davvero l’inquinamento? Sicuramente lo stato di lockdown ha sollevato diverse questioni in merito al nostro rapporto con l’ambiente e all’impatto delle nostre abitudini sul mondo che ci circonda. D’altro canto, l’unica cosa chiara che emerge è la necessità di ripensare completamente sia la nostra idea di mobilità sia i processi produttivi per una rivoluzione green che non implichi alcuno stop, ma soltanto una vera e propria riconversione per farci tornare tutti (persone e Pianeta) a respirare.

Fonte | Arpa Lombardia