Auto ibrida esplosa a Napoli: perché c’era una bombola d’ossigeno a bordo?

Potrebbe esserci stata una fuga d’ossigeno all’origine dell’esplosione dell’auto ibrida sperimentale lungo la tangenziale di Napoli. Tra i resti carbonizzati del veicolo infatti è stata ritrovata una bombola e ora gli inquirenti si interrogano: conteneva ossigeno? E se sì, a cosa poteva servire?
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Giulia Dallagiovanna 3 Luglio 2023

È forse una fuga di ossigeno la causa dell'esplosione dell'auto ibrida che a Napoli, il 26 giugno, ha provocato la morte di due persone: Maria Vittoria Prati, ricercatrice 65enne del Cnr, e Fulvio Filace, laureando 25enne di San Giorgio a Cremano. Si trattava di un veicolo sperimentale che faceva parte del progetto Life-Save, nato all'Università di Salerno e portato avanti dall'azienda privata eProInn, allo scopo di verificare la possibilità di abbinare un motore elettrico con batterie alimentate a pannelli solari a vetture con un propulsore termico e ridurre così ulteriormente le emissioni inquinanti. Ma in questo sistema, cosa c'entrava la bombola che è stata ritrovata all'interno della Polo Volkswagen?

Proprio su questa anomalia si stanno interrogando gli inquirenti, che hanno definito la bombola un dettaglio non trascurabile, rinvenuto tra i resti ormai carbonizzati dell'automobile. Al momento l'ipotesi più accreditata è che contenesse ossigeno e dunque un gas che, pur non essendo infiammabile di per sé, è in grado di favorire la combustione. La combinazione con le batterie del veicolo potrebbe dunque aver determinato l'innesco dell'esplosione. Ed ecco perché si parla di fuga di ossigeno in relazione a questo episodio.

Ora però si apre la strada a tutta una serie di domande: a cosa serviva l'ossigeno sull'auto ibrida sperimentale e, soprattutto, perché non era stato previsto un sistema di sicurezza vista la vicinanza del gas alle batterie? Al primo interrogativo esiste già una possibile risposta: forse l'ossigeno serviva a misurare l'anidride carbonica emessa.

Si tratterà naturalmente solo di ipotesi fino a quando gli inquirenti non riusciranno a ricostruire nel dettaglio quanto è accaduto, anche attraverso le testimonianze dei vertici del Cnr e del professor Gianfranco Rizzo, che si stavano occupando della sperimentazione. Il progetto, inoltre, era stato finanziato con fondi della Regione Campania e di Horizon 2020, il programma europeo per sostenere la ricerca.