Balle spaziali? Macché: sopra le nostre teste galleggiano davvero milioni di rifiuti (e qualche volta cadono pure giù)

Nelle orbite attorno al nostro Pianeta c’è una nuvola fatta di oggetti di varie dimensioni, rimasti nello spazio in seguito agli oltre 4mila lanci eseguiti dall’uomo dal 1957 ad oggi. Si tratta dei cosiddetti rifiuti spaziali: frammenti di satelliti, stadi di lanciatori e missili che galleggiano sopra le nostre teste. Con quali rischi per la Terra? E per il nostro futuro nel cosmo?
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Kevin Ben Alì Zinati 10 Marzo 2023
In collaborazione con Marco Castronuovo; Camilla Colombo; Nicoletta Bini Esperto dell'Agenzia Spaziale Italiana; Professoressa di Scienze e Tecnologie Aerospaziali del Politecnico di Milano; Esperta dell'Ufficio Affari Legali dell'Asi.

Il 1997 era scoccato da poco più di venti giorni quando la città di Georgetown, in Texas, venne svegliata da un suono strano. Un tonfo, un botto simile a quelli di capodanno.

Ciò che i suoi abitanti udirono però non fu un fuoco d’artificio. In un campo poco fuori dalla città era invece caduto a terra il serbatoio principale del propellente del secondo stadio di un razzo Delta 2: una struttura di acciaio inossidabile pesante quasi 250 chili. Era piombata giù dal cielo, intatta.

Questo è il principale serbatoio di propellente del secondo stadio di un razzo Delta 2 caduto vicino a Georgetown, TX, il 22 gennaio 1997. Pesava circa 250 kg. Photo credit: NASA ODPO

La notizia fece presto il giro del mondo ma quando il giovane Theodore Solomons, quattro anni dopo, vide l’enorme frammento di un satellite ormai fuori uso schiantarsi in una fattoria vicino a Worcester, a 150 chilometri da Città del Capo, in Sudafrica, restò comunque esterrefatto.

Anche in quel caso le autorità avevano assicurato che non si trattava di oggetti di origini aliene ma a 15 anni immaginare (e un po’ sognare) è lecito.

Chissà quindi cosa deve aver pensato Theodore Solomons l’anno successivo, quando nel giro di due mesi dall’alto caddero addirittura due oggetti enormi.

A gennaio l’involucro del motore in titanio del peso di circa 70 chili del terzo stadio di un altro razzo Delta-2 americano atterrò in Arabia Saudita, a marzo invece la gigantesca stazione spaziale russa Mir illuminò il cielo sopra Nadi, alle isole Fiji, mentre bruciava entrando nell’atmosfera terrestre per il ritorno dopo 15 anni di servizio.

Questo invece è l’involucro del motore in titanio, di quasi 70kg, del terzo stadio di un razzo Delta–2 americano, caduto nel 2001 in Arabia Saudita. Photo Credit: NASA

Dal cielo possono cadere oggetti: è successo e succederà. Non è un evento poi così raro. Secondo il CNR di Pisa, capita più o meno 1 o 2 volte all’anno che oggetti con una massa di oltre 5 tonnellate caschino a terra.

Questo perché lassù, nello spazio, è pieno di detriti. Frammenti di varie dimensioni che orbitano intorno alla Terra e galleggiano liberamente sopra le nostre teste. Oggetti artificiali, umani, nostri che puoi tranquillamente chiamare rifiuti.

Un termine azzeccatissimo, e sdoganato anche dalla scienza, che ti dimostra come dopo tutti gli angoli del Pianeta siamo arrivati a inquinare anche il cielo.

Ma di che rifiuti si parla? E che rischi ci sono davvero per noi che rimaniamo sulla Terra?

I detriti spaziali

Abbiamo iniziato a disperdere nello spazio oggetti più o meno grandi fin dalla prima volta che abbiamo messo il naso oltre la nostra atmosfera.

Era il 1957 e il mondo intero si era ritrovato unito – si fa per dire – con occhi e naso all’insù ad inseguire una luce intermittente lanciata a quasi 30mila chilometri all’ora.

Sopra le nostre teste viaggiava lo Sputnik 1, il primo oggetto costruito dall’uomo spedito in orbita. Per tre settimane consecutive illuminò il cielo di ottobre emettendo impulsi radio rintracciabili anche dai radioamatori meno esperti e in 92 giorni totali di missione girò attorno al Pianeta ben 1440 volte.

Lanciato il 4 ottobre 1957 da una base in Kazakistan, lo Sputnik 1 fu il primo oggetto costruito dall’uomo a volare nello spazio. In 92 giorni di missione portò a termine ben 1440 orbite terrestri.

Composto da una sfera di 58 centimetri di diametro e oltre 80kg di peso, lo Sputnik fu lanciato da una base missilistica in Kazakistan nel pieno della Guerra Fredda, finendo per accelerare ancora di più la corsa alla cosiddetta «nuova frontiera», il leggendario motto con cui il presidente americano John Fitzgerald Kennedy aveva fatto sognare un’intera nazione.

Da quel 4 ottobre ad oggi sono stati compiuti circa 4mila lanci nello spazio tra missioni lunari, esperimenti e rilasci in orbita di satelliti per le telecomunicazioni, la meteorologia e la navigazione satellitare: oggetti su cui oggi si basano la sicurezza militare, la protezione delle economie, delle società e di tutti noi.

“Possiamo quindi farci un’idea di quanto materiale c’è sopra le nostre teste” ha chiosato il dottor Marco Castronuovo, responsabile dell’ufficio sorveglianza spaziale dell’Agenzia Spaziale Italiana.

Ma che cosa galleggia, di preciso, nel nostro cielo? “Con detriti spaziali intendiamo tutti quegli oggetti prodotti dall’uomo che orbitano intorno alla Terra e che non sono più operativi: satelliti non più funzionanti, dunque, ma anche frammenti di quest’ultimi e altri oggetti derivanti da missioni spaziali precedenti, come stadi di lanciatori rimasti in orbita.

“Questi detriti hanno varie dimensioni, si arriva anche a frammenti di 10-15 metri (come gli stadi di lanciatori) fino a materiali molto più piccoli e di dimensioni nell’ordine di un decimo di millimetro. Più scendiamo con le dimensioni – ha aggiunto – più aumenta il numero di questi oggetti”. I lanciatori, come avrai sicuramente visto in qualche film o documentario, sono i razzi utilizzati per trasportare nello spazio i satelliti, le sonde o altri carichi.

Secondo i dati dell’INAF, sopra le nostre teste orbiterebbero insomma quasi 23mila rifiuti sopra i 10 centimetri di dimensione, che diventerebbero addirittura 130 milioni se si considerano quelli di dimensioni comprese tra 1 millimetro e 10 centimetri. Circa 6500 tonnellate di «rifiuti spaziali» che fluttuano sopra al cielo.

Dove sono?

Tutti questi oggetti non sono diffusi ugualmente in nello spazio ma si concentrano in alcune regioni orbitali particolari.

Un’orbita non è altro che il percorso curvo che un oggetto nello spazio compie attorno a un altro guidato dalla gravità. Lo fanno pianeti e satelliti (la Luna orbita attorno alla Terra, la Terra orbita attorno al Sole) ma anche le stelle, gli asteroidi o le astronavi.

Un satellite che gira attorno alla Terra compie, quindi, un’orbita terrestre. Lo Sputnik 1, se ti ricordi, ne ha compiute più di 1400 in tre mesi.

I detriti spaziali possono andare dai 10-15 metri fino a dimensioni nell'ordine di un decimo di millimetro

Marco Castronuovo, esperto Asi

A seconda della distanza dalla superficie terrestre – che siano centinaia o migliaia di chilometri – si di stinguono diverse orbite terrestri. Qui ce ne interessano due in particolare:

  • l’orbita bassa (o LEO, Low East Orbit), una zona relativamente vicina alla Terra comunemente riconosciuta a un’altitudine sotto i 1000 km (Secondo l’Esa potrebbe anche abbassarsi fino fino a 160 km sopra la superficie terrestre);
  • l’orbita geostazionaria (o GEO), situata a 35.786 km di altezza. I satelliti collocati in quest’orbita girano intorno alla Terra da ovest a est seguendo la rotazione terrestre in 23 ore 56 minuti e 4 secondi e viaggiano alla stessa velocità della Terra.

Secondo il dottor Castronuovo l’orbita bassa, in particolare l’area al di sotto dei 1000 km, è una delle zone dove c’è una maggior concentrazione di detriti spaziali. “Anche alla distanza geostazionaria, quindi intorno ai 36mila km (dove si trovano i satelliti per le telecomunicazioni e il broadcasting televisivo) vi è una grande concentrazione di detriti spaziali”.

Una popolazione in crescita

Con l’Unione Sovietica in testa grazie al clamoroso lancio dello Sputnik, gli Stati Uniti decisero di riversare nella corsa allo spazio un enorme impegno finanziario: tutto pur di arrivare per primi al grande obiettivo finale, la Luna.

Miliardi di dollari vennero investiti nella ricerca spaziale, nella costruzione della Nasa, nell’addestramento dei piloti d’aereo con «la stoffa giusta» a missioni in orbita mai provate prima. Dopo una serie sogni rotti da sconfortanti fallimenti, il 21 luglio 1969 lo sforzo decennale ci concretizzò quando il primo uomo a mettere piede sul nostro satellite fu, appunto, un americano.

Da quel momento le missioni Apollo atterrarono altre cinque volte sul suolo lunare ma accanto agli uomini, le aziende spaziali di tutto il mondo iniziarono a mandare in orbita anche satelliti e stazioni spaziali per la ricerca. Lo spazio non era più la nuova frontiera ma un sogno ad occhi aperti: un popiù vicino, un popiù reale.

Anche a 36mila km dalla Terra vi è una grande concentrazione di detriti spaziali

Marco Castronuovo, esperto Asi

Il cosmo assunse poi un’altra forma con l’inizio del XXI secolo. Dennis Tito, un imprenditore statunitense, nel 2001 pagò oltre venti milioni di dollari per salire su una navicella russa e volare a bordo della Stazione Spaziale Internazionale diventando così il primo turista spaziale.

Più recentemente, compagnie private come la Virgin Galactic (di Richard Branson) e la SpaceX (di Elon Musk) hanno dato luce verde a voli spaziali commerciali e anche a qualche esperimento più che eccentrico.

È il caso, per esempio, di «Starman», un manichino con indosso una tuta spaziale che la SpaceX lanciò in orbita a bordo di una Tesla elettrica (casa automobilistica sempre di Elon Musk) in direzione Marte. Il test suscitò una eco enorme per l'eccezionalità quanto per la sua ambizione: l'auto-spaziale in due anni completa più di 1.7500 orbite attorno al Sole ed è pure riuscito ad avvicinarsi sana e salva al Pianeta Rosso.

Svuotato – almeno in parte – del fascino misterioso e leggendario affibbiatogli da JFK, lo spazio sembra ormai diventato il nuovo terreno da sfruttare, per molti il nascente mercato da dominare.

E le cose, secondo il dottor Castronuovo, continueranno ad accelerare sempre di più. “Sono in programma missioni per l’installazione di vere e proprie costellazioni di migliaia di satelliti, le cosiddette mega-costellazioni, per diffondere internet via satellite”.

Negli ultimi anni è aumentato il numero di detriti spaziali così come il numero dei lanci in orbita. Non solo: c’è c’è stato un cambiamento nel tipo di missione effettuata, con compagnie private (giallo) che lanciano satelliti più piccoli rispetto a quelli lanciati da agenzie non commerciali (blu). Sono cresciuti anche gli oggetti non registrati (in rosso). Photo credit: Esa e Onu.

Pensa a One Web o a Starlink, il progetto, ancora una volta, di Elon Musk. Attività, quindi, che comporteranno sempre lanci in orbita e quindi sempre più frammenti e detriti nello spazio.

Ci sarebbe tuttavia un’altra ragione dietro all’inevitabile aumento dei rifiuti spaziali. “Negli ultimi anni ci sono state delle collisioni in orbita: alcune causali, altre invece frutto di esperimenti con armi anti-satellite condotti dalla Cina o dalla Russia. Questi esprimenti hanno frammentato dei satelliti ormai non più operativi generando così nuovi materiali in grado di innescare nuove collisioni a loro volta”.

Tieni a mente che oggi i 2700 satelliti funzionanti in orbita, secondo l’Esa, sono costretti a condividere le proprie orbite con circa 8mila tonnellate di rifiuti spaziali. Il rischio di impatto, dunque, è reale.

Oltre ai 2700 satelliti, in orbita ci sono milioni di detriti che vagano per lo spazio. Il rischio di impatto è molto alto e queste collisioni potrebbero compromettere il funzionamento di un veicolo spaziale funzionante o, nel peggiore dei casi, di distruggerlo del tutto. Photo credit: Esa.

Nello spazio avremmo innescato quella che la scienza ha ribattezzato «sindrome di Kessler». Si tratta di un fenomeno per cui detriti spaziali tendono a collidere gli uni con gli altri innescando una pericolosa reazione a catena. “Questa reazione è già partita – ha aggiunto il dottor Castronuovo – e anche se interrompessimo tutti i lanci da qui in poi l’aumento dei detriti in orbita è comunque non usuale”.

Un modo per disinnescare questo fenomeno è rimuovere gli oggetti dallo spazio, soprattutto gli oggetti di grande massa come gli stadi di lanciatori rimasti in orbita, che diventano facili bersagli.

I rischi legati ai detriti spaziali?

Molti degli oggetti che galleggiano sopra le nostre teste sono destinati a «ritornare a casa», specialmente quelli presenti in un’orbita bassa.

A seconda della dimensione, della massa e della quota possono avere dei tempi di decadimento brevi, di anni o decine d’anni, e tendono quindi a decadere naturalmente e ad avvicinarsi alla superficie terrestre.

Per i satelliti in orbite basse questo processo può anche essere relativamente breve e compiersi in 20-25 anni, merito della forza dell’atmosfera che ne riduce progressivamente l’energia provocandone di fatto il rientro.

L’atmosfera terrestre riduce l’energia dei satelliti in orbita costringendoli, di fatto, al rientro. Un processo anche rapido per quegli oggetti nelle orbite basse, che possono impennare anche 20–25 anni per ritornare sulla terra: per i satelliti a migliaia di chilometri di distanza, possono passare migliaia di anni prima che ritornino. Photo credit: Esa

Storia diversa invece per quei satelliti lanciati a migliaia di chilometri dalle Terra, per i quali possono servire migliaia di anni prima che facciano ritorno sulla superficie terrestre.

Considera poi che solo alcuni riescono a superare indenni l’atmosfera finendo per tuffarsi negli oceani, per scavare grosse buche nel deserto o per atterrare sopra le fattorie: la stragrande maggioranza viene invece disintegrata all’impatto con la barriera di azoto, ossigeno, argon e anidride carbonica che circonda la Terra.

“Il rischio maggiore oggi – ha spiegato l'esperto dell’Asi – è soprattutto che lo spazio circumterrestre possa diventare inutilizzabile da parte delle generazioni future. Che la nuvola di detriti attorno alla Terra, insomma, aumenti al punto da diventare così fitta da rendere impossibile mettere in orbita ulteriori satelliti e da rendere difficile e rischioso anche uscire al di fuori di questo guscio.

Sebbene più futuribile, quello dei detriti spaziali è  comunque un problema da affrontare già da oggi. Pensa solo che la Stazione Spaziale Internazionale deve continuamente svolgere manovre di evitamento per scongiurare collisioni con detriti, così come succede per diversi satelliti.

Il rischio principale connesso ai detriti spaziali, quindi non è un rischio terrestre, non riguarda cioè la popolazione che vive sul Pianeta. Ad oggi non sono stati registrati casi di incidenti o morti legati alla caduta di oggetti dallo spazio.

Sebbene molto remota, la possibilità non va comunque esclusa. Uno studio pubblicato su Nature Astronomy nel 2022, per esempio, avrebbe calcolato che nei prossimi 10 anni le possibilità che una persona venga ferita mortalmente da un detrito spaziale sarebbe 1 su 10.

“Quando decadono, però, normalmente a causa dell’attrito dell’atmosfera i detriti si polverizzano. Può succedere che qualche frammento sopravviva, soprattutto se deriva da oggetti costruiti appositamente per sopportare altissime temperature ma siccome la superficie terrestre è per la maggior parte ricoperta da acqua, la probabilità che finisca in mare è molto più alta rispetto a quelle che lo vedrebbero cadere su terra ferma” ha chiosato Castronuovo.

Questo è un altro rifiuto spaziale caduto dal cielo. Si tratta di un serbatoio pressurizzato in titanio da 30 kg è sopravvissuto al rientro del secondo stadio Delta 2, ma è stato trovato più a valle vicino a Seguin, Texas.Photo credit: Nasa.

Tieni conto comunque che gli oggetti al di sopra dei 10cm sono tutti catalogati. Si tratta di un catalogo dinamico che viene continuamente aggiornato. Per i frammenti nelle orbite più basse, l’esperto dell’Asi ci ha spigato che il monitoraggio viene eseguito per mezzo di radar: ce ne sono molti, soprattutto americani, destinati a questo compito.

Il rischio maggiore oggi è che lo spazio circumterrestre diventi inutilizzabile per le generazioni future

Marco Castronuovo, esperto Asi

Per gli oggetti più grandi e ad orbite più alte si utilizzano invece dei telescopi. L’ASI in questo momento sta sviluppando una rete di quattro telescopi con un design innovativo destinati proprio alla scoperta e al monitoraggio dei detriti spaziali. “Questi telescopi verranno chiamati «occhi di mosca» (o Fly Eye) perché avranno un campo di vista molto più ampio di quelli attuali: al loro interno conterranno 16 telecamere e sensori in grado di osservare vari spicchi di cielo, registrando e combinando tra loro diverse immagini dettagliate dello spazio. Questi telescopi saranno dislocati in varie parti del mondo e uno sarà presso la base ASI di Matera.

Come pulire lo spazio? E chi dovrebbe farlo?

Così come quelli che inquinano mari, fiumi e città, anche i rifiuti spaziali vanno eliminati e tolti dal nostro cielo. Come?

Ad oggi non sappiamo ancora bene come rimuovere tutti i rifiuti dallo spazio. Tutti i progetti, come ha ammesso la dottoressa Nicoletta Bini, esperta dell’Ufficio Affari Legali dell’Asi, sono ancora a livello sperimentale. “Si tratta di operazioni molto complicate e costose. Ci sono diversi elementi da tenere in considerazione. Uno Stato, per esempio, non potrebbe prelevare detriti generati e appartenenti a un altro Stato senza l’accordo di tale Stato”.

Determinate tecnologie per rimuovere detriti, inoltre, potrebbero essere utilizzate anche per altri scopi, come danneggiare un satellite attivo. È, insomma, una questione estremamente delicata e in fase di sviluppo.

Tra i più avanzati e concreti c’è sicuramente «Clean Space», un’iniziativa dell’Agenzia Spaziale Europea che mira a rendere quella spaziale un’industria sostenibile per gli ambienti terrestri e spaziali cercando di ridisegnare le metodologie di lavoro. Recentemente poi l’Esa ha anche introdotto il cosiddetta «Zero Debris Approach», una strategia innovativa per per fermare totalmente la generazione di detriti in orbite preziose entro il 2030.

Una volta che queste operazioni venissero strutturate, a chi spetterebbe poi il compito di recuperare questi rifiuti spaziali? “In linea teorica ogni Stato potrebbe essere deputato alla rimozione dei propri detriti”.

Come ha fatto la dottoressa Bini, provo a farti guardare all’insù. Immagina che un determinato Stato lanci nello spazio un satellite per una determinata missione: dovrebbe essere quello stesso Paese a preoccuparsi di pianificare le attività in maniera tale da generare il minor numero di detriti.

Come ti ho spiegato prima, nell’orbita terrestre bassa, la regione dello spazio entro 2mila km dalla superficie terrestre, vi è la maggior concentrazione di detriti spaziali. Photo Credit: NASA ODPO

Ad oggi però, ha spiegato la dottoressa Bini, non esiste un obbligo a recuperare i detriti generati: Non c’è una normativa vincolante a livello internazionale che regoli l’attività di recupero di detriti spaziali”.

Esistono invece delle linee guida e degli standard approvati da diversi comitati tecnici internazionali mirati alla «mitigazione» dei detriti spaziali.

Le linee guida principali sono state generate da un organismo tecnico, lo IADC (Inter-Agency Space Debris Coordination Committee), composto da 13 agenzie spaziali di tutto il mondo. Sulla base di queste, sono state approvate le linee guida per la mitigazione dei detriti spaziali da parte del Comitato delle Nazioni Unite che si occupa di attività spaziali (UNCOPUOS).

Il loro compito è portare gli Stati a crearne il meno possibile e spronandoli a gestirli in maniera sicura e virtuosa. “Tali linee guida non hanno carattere vincolante – ha continuato la dottoressa Bini – Sono piuttosto raccomandazioni: se uno Stato fosse virtuoso potrebbe decidere volontariamente di applicarle e anche di renderle vincolanti a livello nazionale, contribuendo così a mitigare il problema dei detriti spaziali”.

Qualche Paese l’ha fatto. Pensa alla Francia, al Regno Unito, al Belgio, agli Usa o anche al Giappone. Questi Stati hanno reso le linee guida vincolanti con normative nazionali: “Vuol dire che durante una missione spaziale assicurano di mitigare i detriti generati dalle proprie attività”.

Oggi non c’è una normativa vincolante a livello internazionale che regoli l’attività di recupero di detriti spaziali

Dott.ssa Nicoletta Bini, esperto Ufficio Affari Legale Asi

Come? Ad esempio, prevedendo che i detriti nelle orbite basse – come sai quelle più congestionate –  e dunque destinati comunque a ricadere sulla Terra, rientrino disintegrandosi all’impatto con l’atmosfera entro 25 anni. “Ci sono insomma delle misure che potrebbero essere assunte e applicate ma al momento dal punto di vista internazionale non esiste nulla di vincolante.

«Green Species»

Un interessante progetto dedicato alla mitigazione dei detriti spaziali ha Dna italiano. Si tratta di «Green Species», che recentemente ha anche ricevuto un «Consolidator Grant» da parte del CNR.

Camilla Colombo, professore associato di Scienze e Tecnologie Aerospaziali del Politecnico di Milano e coordinatrice del progetto, ci ha spiegato che l’obiettivo di «Green Species» è quello di porre il tema dei detriti spaziali come un problema ambientale. “Per l’ambiente terrestre i detriti non rappresentano un grosso problema, noi però come umanità ci stiamo estendendo a 2mila km di altezza e, allo stesso tempo stiamo creando un anello artificiale di oggetti attorno al Pianeta: è vero che al momento non impatta sul nostro ambiente ma stiamo andando in un’altra zona dove la nostra presenza è chiara.

Tutti i problemi ambientali a cui siamo ormai purtroppo abituati, dall’acidificazione degli oceani, alle emissioni di CO2 fino alla deforestazione hanno un aumento esponenziale nel tempo: lo stesso sta avvenendo con i detriti spaziali.

“Il nostro progetto – ha spiegato la professoressa Colombo – vuole quindi migliorare la modellazione dei detriti spaziali. Come tutti i sistemi ambientali, anche questo problema si basa su modelli. Non possiamo misurare tutto e tante cose vanno previste con modelli: il primo obiettivo quindi è creare un modello complesso che rappresenti l’evoluzione nel tempo e nello spazio del numero e delle caratteristiche dei detriti spaziali”.

Un razzo Falcon 9 dell’Agenzia SpaceX trasporta la navicella spaziale Crew Dragon con a bordo astronauti della NASA, verso la Stazione Spaziale Internazionale. È il 30 maggio 2020 e la missione Demo–2 è il primo lancio da parte di una azienda privata e il primo lancio di un equipaggio americano dal suolo americano dalla chiusura del programma Space Shuttle nel 2011. Photo credit: SpaceX via Getty Images.

Un po’ come i modelli complessi del clima che già usiamo. Serve insomma un modello più complesso che rappresenti tutte le sfaccettature del problema dei detriti spaziali. Una sorta di modello predittivo“Abbiamo bisogno di un modello più complesso che includa le incertezze che non sappiamo bene come modellare ma che si possono comunque quantificare. Per esempio le incertezze fisiche, come l’andamento dell’attività solare oppure anche i programmi dei lanci spaziali”.

Sebbene non sappiamo quante missioni ci saranno nei prossimi anni, ha concluso la professoressa Colombo, possiamo tuttavia sfruttare le tecniche del mondo economico per fare delle previsioni sugli investimenti e utilizzarle per prevedere quale sarà il modello di lanci più probabile nei prossimi anni, con la sua incertezza.

Ma di chi è lo spazio?

Arrivando fin qui hai capito quindi che presto ci servirà una norma per stabilire chi deve fare cosa nello spazio, ma esiste una norma che definisce chi può fare cosa? In sostanza: di chi è lo spazio?

Le norme che disciplinano le attività spaziali esistono e sono contenute nel cosiddetto Outer Space Treaty del 1967. Un trattato che prevede i principi essenziali a cui si devono attenere gli Stati nelle attività in orbita.

Il trattato, per esempio, sostiene che l’esplorazione e l’utilizzo dello spazio esterno devono essere effettuati a beneficio e nell'interesse di tutti i paesi e devono essere di competenza di tutta l’umanità; che lo spazio extraatmosferico non è soggetto ad appropriazione nazionale per rivendicazione di sovranità, per mezzo di uso o occupazione, o con qualsiasi altro mezzo; che nessuno Stato può portare in orbita armi nucleari o altre armi di distruzione di massa

“Questo trattato dispone che le attività private, in particolare debbano essere sottoposte all’autorizzazione dello Stato di pertinenza”. Ciò significa, per esempio, che il progetto Starlink di Elon Musk, è un’iniziativa autonoma comunque approvata dal governo degli Stati Uniti.

“Questo trattato internazionale sancisce insomma che sì, lo spazio è di tutti ma non tutti possono fare ciò che vogliono: tutte le attività spaziali devono essere svolte in conformità a questo trattato e ogni Stato deve rispettare l’eguale diritto degli altri Stati” ha concluso la dottoressa Bini.

Una norma sullo spazio quindi esiste, così come strumenti internazionali non vincolanti che disciplinano le altre attività spaziali come la questione dei detriti.

Non viviamo completamente in un vuoto normativo e questo è un bene ma molto ancora deve essere fatto. E in fretta, perché la lancette corrono: qui sulla Terra così come lassù.