Chi era Margherita Botto, la professoressa che ha scelto di morire in Svizzera con il suicidio assistito

Margherita Botto, professoressa universitaria e traduttrice, dopo lungo tempo passato a combattere un adenocarcinoma al terzo stadio è morta martedì in Svizzera, ricorrendo al suicidio medicalmente assistito. L’oncologo le aveva spiegato che le cure avrebbero solo contenuto il tumore, senza guarirlo. Così Margherita ha scelto di “porre fine al protocollo di cure, affrontandone consapevolmente le infauste conseguenze”.
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Kevin Ben Alì Zinati 29 Novembre 2023
* ultima modifica il 29/11/2023

Anche lei in Svizzera. Anche Margherita Botto ha dovuto uscire dai confini del nostro Paese per ricorrere al suicidio mediamente assistito e decidere in autonomia il proprio destino.

Margherita, professoressa universitaria di Lingua e letteratura francese e traduttrice letteraria di 74 anni, è morta martedì dopo lungo tempo passato a combattere un adenocarcinoma al terzo stadio.

L’oncologo le aveva spiegato senza troppi giri di parole che l’ultimo protocollo di cura a cui si sarebbe sottoposta avrebbe avuto il solo scopo di contenere il tumore e non di guarirlo.

suicidio assistito

“Le mie speranze di giungere alla guarigione e di poter ritornare ad una qualità della vita non dico soddisfacente, ma almeno accettabile sono molto ridotte o nulle aveva scritto la donna in una in una lettera.

Proseguire con le terapie l’avrebbe esposta a ulteriori sofferenze per almeno un anno o più, senza molte probabilità di successo, così ha scelto: “In questa situazione intendo liberamente ed autonomamente porre fine al protocollo di cure, affrontandone consapevolmente le infauste conseguenze. Voleva con coscienza porre fine alla sua vita in modo dignitoso, senza ulteriori sofferenze, fisiche o psicologiche. E così ha fatto.

Ai rapporti con la clinica svizzera, all’organizzazione del viaggio e all’accompagnamento ci hanno pensato il fratello  Paolo e Cinzia Fornero, iscritta all’associazione Soccorso Civile, che fornisce l'assistenza diretta alle persone che hanno deciso di porre fine alle proprie sofferenze all'estero, della quale è presidente e responsabile legale Marco Cappato.

Tutti e tre, assistiti dall’avvocata Filomena Gallo, segretaria dell’Associazione Luca Coscioni, nella mattinata di mercoledì 29 novembre si autodenunceranno ai carabinieri della Compagnia Milano Duomo.

Il gesto del fratello di Margherita, Marco, è importante dal momento che si tratta della seconda volta che un familiare di una persona va in Svizzera per porre fine alla propria vita decide di autodenunciarsi assumendosi il rischio di conseguenze penali. Prima era successo con il figlio di Sibilla Barbieri, l’attrice malata di tumore che è morta in Svizzera ad inizio novembre.

In Italia, il suicidio assistito in Italia è diventato legale in seguito alla famosa vicenda di dj Fabo, gestita e portata a termine proprio con Cappato il prima linea.

Da lì era derivata la sentenza n. 242/19 della Corte costituzionale, secondo cui il malato che ne fa richiesta deve:

  • Essere capace di autodeterminarsi
  • Essere affetta da una patologia irreversibile
  • Soffrire di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili causate proprio da tale malattia
  • Essere dipendente da trattamenti di sostegno vitale

Ad oggi sono cinque gli italiani che sono riusciti ad accedere al suicidio assistito a casa propria. L’ultimo caso è quello di Anna, una donna affetta da sclerosi multipla dal 2010 e che dopo quasi un anno di attesa può accedere alla morte volontaria assistita.

Fonte | Associazione Luca Coscioni

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