Come si ferma il consumo di suolo? Laporta (Ispra): “Gli strumenti attuali non bastano, serve una legge nazionale”

Oggi è la giornata mondiale del suolo, una risorsa che ci fornisce servizi vitali ma che stiamo consumando a ritmi insostenibilli (in Italia ogni anno vengono “mangiati” oltre 50 chilometri quadrati all’anno). Fermare subito questa tendenza dovrebbe essere una priorità, anche in un’ottica di contrasto alla crisi climatica e al dissesto idrogeologico, come ci ha spiegato il presidente dell’Ispra Stefano Laporta.
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Federico Turrisi 5 Dicembre 2021

Costruire, costruire, e ancora costruire. E al suolo chi ci pensa? In Italia, come in molte altre parti del pianeta, è in corso un'autentica emorragia di questa risorsa indispensabile: la nostra vita dipende dalla buona salute dei suoli. Qualche mese fa, in un'intervista concessa a Ohga, il climatologo Luca Mercalli ci disse con una certa enfasi che il ministro della Transizione Ecologica dovrebbe incatenarsi davanti al suo dicastero per chiedere al più presto l’approvazione da parte delle due Camere della legge contro il consumo di suolo. Legge che giace in Parlamento da quasi 10 anni.

Quando nel nostro Paese si verificano frane o alluvioni, si rimarcano giustamente i danni provocati da decenni di cementificazione selvaggia. Eppure, sembra che ogni volta non abbiamo imparato la lezione. Anziché fare tesoro degli errori del passato, permettiamo che il consumo di suolo prosegua la sua corsa senza freni. Continuiamo a farci del male, insomma. La diamo quasi per scontata la terra sotto ai nostri piedi. Invece, come ricorda Stefano Laporta, presidente dell'Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), va considerata "una risorsa limitata e, visti i tempi estremamente lunghi necessari per la sua formazione, sostanzialmente non rinnovabile".

Perché il suolo è una risorsa così importante da proteggere?

Il suolo rappresenta l’interfaccia tra terra, aria e acqua e ospita gran parte della biosfera. Svolge molte funzioni chiave e fornisce servizi essenziali per l'esistenza umana e per la sopravvivenza degli ecosistemi: ci fornisce per esempio cibo, biomassa e materie prime. È la piattaforma per lo svolgimento delle attività umane, oltre a rappresentare un elemento centrale del paesaggio e del patrimonio culturale e a svolgere un ruolo fondamentale come habitat.

Nel suolo vengono stoccate, filtrate e trasformate molte sostanze, tra le quali l’acqua, gli elementi nutritivi e il carbonio. Oltre al suo valore ecologico, un suolo di buona qualità è in grado di assicurare una serie di benefici dal punto di vista economico e sociale attraverso la fornitura di diversi servizi ecosistemici, tra cui il controllo dell’erosione, la regolazione degli elementi della fertilità, la mitigazione del rischio idrogeologico e la conservazione della biodiversità.

Quali sono le principali minacce alla salute dei suoli?

Il suolo è estremamente fragile e può essere distrutto o degradato fisicamente in tempi molto brevi. I processi di urbanizzazione e la copertura permanente del terreno con materiale artificiale non permeabile, l’estrazione delle materie prime, lo sviluppo di pratiche agricole intensive, la deforestazione e gli effetti locali dei cambiamenti climatici globali determinano le principali pressioni sul suolo. Queste pressioni di natura antropica innescano o amplificano una serie di processi di degradazione, alcuni dei quali possono anche incidere sulla salute dei cittadini e mettere in pericolo la sicurezza dei prodotti destinati all’alimentazione umana e animale. L'ultima fase del degrado del suolo è la desertificazione.

L'Italia è un Paese fragile: il 91% dei Comuni sorge in aree in cui il rischio di dissesto idrogeologico è notevole. Eppure, come confermano i dati dell'Ispra, il consumo di suolo non accenna a rallentare. E manca ancora una legge nazionale su questo.

È vero, purtroppo il consumo di suolo non rallenta e continua ad aggravare la fragilità dei nostri territori. Solo nel 2020, l'ultimo anno per cui sono disponibili i dati dell'Ispra e del Sistema Nazionale per la Protezione dell'Ambiente, nonostante i mesi di blocco di gran parte delle attività durante il lockdown, la progressiva artificializzazione del territorio è continuata al ritmo non sostenibile di oltre 50 chilometri quadrati l’anno, anche a causa dell’assenza di interventi normativi efficaci in buona parte del Paese o dell’attesa della loro attuazione e della definizione di un quadro di indirizzo omogeneo a livello nazionale.

L’iniziativa delle Regioni e delle Amministrazioni locali sembra essere riuscita marginalmente, per ora (e solo in alcune parti del territorio), ad arginare l’aumento delle aree artificiali, rendendo evidente l’inerzia del fenomeno e il fatto che gli strumenti attuali non abbiano mostrato ancora l’auspicata efficacia nel controllo del consumo di suolo. Ciò rappresenta un grave vulnus in vista della ripresa economica, che non dovrà assolutamente accompagnarsi a una ripresa della perdita del suolo naturale, che i fragili territori italiani non possono più permettersi.

Come si può sbloccare questa situazione?

Un consistente contenimento del consumo di suolo, per raggiungere presto l’obiettivo europeo del suo azzeramento, è la premessa per garantire una ripresa sostenibile dei nostri territori attraverso la promozione del capitale naturale e del paesaggio, la riqualificazione e la rigenerazione urbana e l’edilizia di qualità, oltre al riuso delle aree contaminate o dismesse.

"Bisogna arrivare all'approvazione di una legge che punti all'azzeramento del consumo di suolo e incentivi la riqualificazione delle aree già costruite"

Per questo obiettivo sarà indispensabile fornire ai Comuni e alle Città Metropolitane indicazioni chiare e strumenti utili per rivedere anche le previsioni di nuove edificazioni presenti all’interno dei piani urbanistici e territoriali vigenti e arrivare all'approvazione di una legge efficace che punti all'azzeramento del consumo di suolo e incentivi fortemente il riutilizzo e la riqualificazione delle aree già costruite per rispondere alle esigenze insediative e infrastrutturali. Una legge che, se riuscisse ad arrestare finalmente ed efficacemente il consumo di suolo nel nostro Paese, permetterebbe di fornire un contributo fondamentale per affrontare le grandi sfide poste dai cambiamenti climatici, dal dissesto idrogeologico, dall’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo, dal diffuso degrado del territorio, del paesaggio e dell’ecosistema.

Per l'appunto, si parla tanto di messa in sicurezza del territorio e di contrasto al degrado del suolo: il Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) rappresenta un'opportunità da cogliere in questo senso?

Intanto dovremmo essere consapevoli dell’importanza, anche economica, che rivestono le funzioni ecosistemiche del suolo da tutelare. I costi dell'inazione riguardo al degrado del suolo nell'Unione Europea superano i 50 miliardi di euro all'anno. Il danno economico potenziale del consumo di suolo degli ultimi 8 anni, solo in Italia, supera i 3 miliardi di euro ogni anno. Nel Pnrr, la Missione 2 concentra in sé le principali linee di intervento con implicazioni ambientali e in materia di transizione verde, anche con riferimento alla tutela del territorio. Ma in realtà il tema è trasversale, e per questo presente in molti punti del documento. Tuttavia, alcuni investimenti, come quelli su infrastrutture e impianti di energia da fonti rinnovabili, potrebbero portare a un incremento delle superfici artificiali che dovrebbero essere auspicabilmente bilanciate da un equivalente ripristino e rinaturalizzazione di aree già impermeabilizzate.

La domanda allora è: come avviene il ripristino del suolo degradato, e quali sarebbero i benefici anche in un'ottica di sicurezza alimentare e lotta ai cambiamenti climatici?

È un processo complesso e spesso molto lungo, che difficilmente permette di raggiungere un risultato ottimale. Anche per questo è necessario, dove possibile, evitare di aumentare il degrado. Tuttavia, anche vista la notevole estensione raggiunta da queste aree a causa di decenni di gestione poco sostenibile del nostro territorio, è oggi indispensabile migliorare la capacità dei suoli degradati di fornire servizi ecosistemici anche per adattarsi ai cambiamenti climatici.

Basti pensare che, nel nostro Paese, le aree perse dal 2012 a oggi a causa del consumo di suolo avrebbero garantito la fornitura complessiva di più di 4 milioni di quintali di prodotti agricoli e l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua di pioggia che ora, scorrendo in superficie, non sono più disponibili per la ricarica delle falde e aggravano la pericolosità idraulica dei nostri territori in un momento in cui anche lo stesso regime delle piogge si sta modificando. Nello stesso periodo, la perdita della capacità di stoccaggio del carbonio di queste aree (circa tre milioni di tonnellate) equivale, in termini di emissione di CO2, a quanto emetterebbero oltre un milione di autovetture con una percorrenza media di 11.200 chilometri l’anno tra il 2012 e il 2020: un totale di oltre 90 miliardi di chilometri percorsi, più di 2 milioni di volte il giro della terra.