Cos’è il gas flaring e quali sono le sue conseguenze sull’ambiente

Nell’estrazione di petrolio e gas, le compagnie continuano a bruciare tantissimo gas naturale, una pratica molto inquinante che si fatica a frenare.
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Gianluca Cedolin 4 Aprile 2021

Sappiamo tutti come l'estrazione del petrolio e del gas rappresenti una minaccia per il futuro del Pianeta, visto che si tratta di fonti energetiche fossili, che aumentano l'inquinamento, non sono sostenibili e sono destinate a finire. Forse non tutti invece hanno sentito parlare di una pratica purtroppo troppo frequente che avviene durante questo processo, capace di generare ulteriori emissioni nocive per l'aria che respiriamo. Stiamo parlando del gas flaring, un fenomeno ancora oggi molto diffuso: cerchiamo di capire insieme di cosa si tratta e come si dovrebbe intervenire per prevenirlo.

Cos'è il gas flaring

Letteralmente combustione di gas, indica appunto la combustione di gas indesiderato durante i processi di recupero del petrolio o del gas. In sostanza, quando si estrae il greggio dal sottosuolo attraverso la perforazione (ma anche negli impianti di estrazione del gas), insieme al petrolio si possono incontrare delle riserve naturali di gas (solitamente metano), il quale sarebbe troppo costoso da trattare ed elaborare. Per questo, le compagnie petrolifere, come si legge sul sito dell'Hera, trattano quel gas naturale come materiale di scarto, convogliandolo verso la torre di perforazione e bruciandolo. Altre parti del gas vengono invece semplicemente diffuse nell'atmosfera senza essere combuste: in quel caso si parla di gas venting.

Conseguenze

I risvolti principali sono due, entrambi negativi: il primo riguarda l'altissimo livello di emissioni che viene generato. Secondo le rilevazioni della Banca mondiale, tramite la Global gas flaring reduction partnership, nel 2019 durante l'estrazione del petrolio sono stati bruciati 150 miliardi di metri cubi di metano, per un totale di 400 milioni di tonnellate di gas serra (le emissioni della Gran Bretagna, per dire). Il secondo problema di questa pratica riguarda lo spreco del gas stesso: il metano viene utilizzato infatti per alimentare tantissime cose, dalle auto ai fornelli di milioni di cucine. Se le compagnie iniziassero a raccoglierlo invece che bruciarlo, non servirebbe estrarne altro con ulteriori processi, riducendo di molto l'impatto ambientale. Il gas prodotto (e sprecato) nel mondo dal gas flaring è doppio rispetto al consumo annuale di tutta l'Italia.

Soluzioni e alternative

Le piattaforme di estrazione petrolifera andrebbero riconvertite, per permettere loro di raccogliere, immagazzinare e riutilizzare il gas: questo però costerebbe alle compagnie di più rispetto a quanto guadagnerebbero dalla vendita del gas, ragione per cui preferiscono continuare a inquinare. La creazione della Global gas flaring reduction partnership ha riunito oltre ottanta governi, molte aziende petrolifere e istituzioni internazionali, coordinate dalla Banca mondiale, per combattere la tendenza. Dal 2014, anno dell'accordo, il gas bruciato è diminuito fino al 2017, ma nel 2018 è tornato ad aumentare, soprattutto per il contributo negli Stati Uniti, che non ha leggi o impianti adeguati per contrastarlo. Come sempre in questi casi, l'evoluzione normativa deve andare di pari passo a quella pratica.

Oltre a un'azione coordinata a livello internazionale, assolutamente da migliorare, sarebbe importante rivedere le concessioni petrolifere, inserendo come clausola l'obbligo del no-flaring. Qualcuno propone anche la gogna pubblica, il cosiddetto naming e shaming, con cui rendere noti i nomi delle compagnie che praticano il gas flaring e in che quantità. Una soluzione utile non tanto per il biasimo fine a se stesso, quanto per impedire che le compagnie petrolifere si lavino la coscienza citando la loro diminuzione delle emissioni e al contempo continuando a bruciare gas durante l'estrazione.

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