Diabete di tipo 1: la FDA approva il primo farmaco che può ritardarne l’insorgenza

I linfociti T CD8+ rappresentano la prima risposta immunitaria contro elementi esterni all’organismo ma nei pazienti affetti da diabete di tipo 1 si trasformano nei principali distruttori delle cellule beta del pancreas, quelle che producono insulina. Il teplizumab, per ora approvato solo negli Usa, si è dimostrato in grado di riprogrammare la funzionalità di queste specifiche cellule del sistema immunitario bloccando ogni azione dannosa.
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Kevin Ben Alì Zinati 23 Novembre 2022
* ultima modifica il 23/11/2022

È vero: lo ritarda, non lo cura. Se però pensi che ad oggi non esiste una terapia definitiva, ti puoi facilmente rendere conto che avere a disposizione un farmaco in grado di posticipare l’insorgenza del diabete di tipo 1 è davvero un grosso passo in avanti nel trattamento di questa patologia rara eppure così diffusa.

L’anticorpo monoclonale teplizumab potrebbe rappresentare un progresso decisivo perché si è dimostrato capace di ritardare lo sviluppo del diabete di tipo 1 nei pazienti che ne manifestino i primi sintomi.

La Food and Drug Administration statunitense ne ha approvato l'uso per via endovenosa con un ciclo standard composto da una somministrazione al giorno per due settimane di seguito.

L’uso del teplizumab, che per ora è riservato agli Stati Uniti, è indicato per i pazienti adulti affetti da diabete di tipo 1 in stadio 3 e nei pazienti pediatrici di età pari o superiore a 8 anni caratterizzati da una malattia allo stadio 2.

Come ti ho anticipato, il diabete di tipo 1 è una malattia rara ma, tra queste, rappresenta sicuramente una delle più frequenti. Pensa che solo in Italia colpisce oltre 300mila persone.

Si tratta di una patologia autoimmune, caratterizzata dall’inefficienza del sistema immunitario. Per motivi che oggi non sono ancora del tutto chiari, il tuo sistema di difesa interno può insomma subire un’alterazione importante, al punto da arrivare ad aggredire e distruggere le cellule del pancreas che producono insulina, l’ormone indispensabile per l’utilizzo del glucosio come fonte energetica per il nostro organismo.

Non producendo più insulina, chi viene colpito dal diabete di tipo 1 è costretto quindi ad assumerla dall’esterno, attraverso dispositivi come i microinfusori attaccati al corpo. Una soluzione sicuramente efficace ma che per molti pazienti ancora oggi continua a rappresentare una fonte di disagio: il gesto di mettere sempre mano al microinfusore può portare con sé un peso sociale da non sottovalutare.

Per questo, come ci aveva spiegato la dottoressa Angela Girelli, la scienza sta mettendo a punto sistemi di infusione sottocutanea di insulina sempre più “discreti” e connessi ai nostri smartphone.

Ma come funziona l’anticorpo monoclonale Teplizumab? Il farmaco, ha spiegato la Fda, si lega a specifiche cellule del sistema immunitario, i linfociti T CD8+.

Queste normalmente sono responsabili della risposta difensiva contro elementi esterni all’organismo ma in chi soffre di diabete di tipo 1 passano da difensori ad aggressori, distruggendo le cellule beta del pancreas, quelle che producono insulina.

Il farmaco riprogramma dunque il sistema immunitario e ristabilisce la corretta funzionalità di queste cellule: bloccando la progressiva perdita delle cellule beta, Teplizumab contribuisce anche ad aumentare il numero di cellule che aiutano a moderare la risposta immunitaria dell’organismo.

L’approvazione della Fda si basa sui dati di uno studio randomizzato effettuato su 76 pazienti con diabete di tipo 1, che hanno ricevuto il farmaco o un placebo in modo casuale una volta al giorno tramite infusione endovenosa per 14 giorni.

“I risultati dello studio hanno mostrato che su un follow-up mediano di 51 mesi, il 45% dei 44 pazienti che hanno ricevuto il farmaco è stato successivamente diagnosticato con diabete di tipo 1 in stadio 3, rispetto al 72% dei 32 pazienti che hanno ricevuto un placebo. Il tempo medio dalla randomizzazione alla diagnosi di diabete di tipo 1 in stadio 3 è stato di 50 mesi per i pazienti che hanno ricevuto Teplizumab e di 25 mesi per quelli che hanno ricevuto un placebo” hanno spiegato gli esperti della Fda, specificando che si tratta di un ritardo statisticamente significativo nello sviluppo del diabete di tipo 1 in stadio 3.

La portata della rivoluzione, insomma, è davvero importante.

Fonte | Fda

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