I am Greta: cosa ci insegna il documentario sulla fondatrice dei Fridays for Future

Abbiamo visto alla Mostra del cinema di Venezia “I am Greta” di Nathan Grossman, che segue la giovane ambientalista dal primo sciopero per il clima.
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Gianluca Cedolin 8 Settembre 2020

Quando Nathan Grossman ha sentito da un amico sceneggiatore che una ragazzina di 15 anni stava pianificando uno sciopero davanti al Parlamento svedese, ha deciso di contattarla: «Sono un filmmaker ambientalista, e volevo sapere come i giovani affrontavano il problema – ha detto in un’intervista all’Hollywood reporter -. Pensavo sarebbero bastate tre settimane di ripresa, e che questa adolescente sarebbe diventata una storia per un cortometraggio sull’attivismo dei ragazzi». Dopo un anno di riprese, Grossman ha presentato (fuori concorso) alla 77esima Mostra del cinema di Venezia il suo documentario I am Greta (in uscita in Italia a novembre), in cui ha seguito il percorso di Greta Thunberg da attivista solitaria a leader di un movimento mondiale, persona dell’anno per il Time.

Il film svela il dietro le quinte dei primi scioperi per il clima, dei viaggi in treno per l’Europa, dei discorsi ai summit globali, ma nonostante il punto di vista privilegiatissimo (Grossman riprende Greta quasi ovunque), non ci rivela molto altro su Greta. Scopriamo che ha iniziato a familiarizzare con la crisi climatica da piccola, e questo l’ha portata a lunghi periodi di depressione (o qualcosa di molto simile), fino a quando non ha iniziato ad agire. Vediamo il suo rapporto con il padre, devoto alla causa della figlia e pronto ad accompagnarla ovunque, e l’amore per i suoi due cani. Ammiriamo la sua schiettezza, i suoi discorsi semplici e taglienti. Ma sono tutte cose che sapevamo, o potevamo intuire dalle sue uscite pubbliche: il documentario non svela cosa voglia dire veramente essere Greta Thunberg, una ragazzina proveniente «da una famiglia privilegiata», come dice lei, con la sindrome di Asperger e il peso di essere un’icona globale nella lotta al clima.

Ci sono, comunque, dei momenti in cui la giovane attivista si apre, quando legge i tweet di chi la insulta su internet o quando, durante la traversata atlantica in barca a vela, per la prima volta ammette che un po’ le pesa tutto questo. Soprattutto, il film ribadisce una volta per tutte come non ci sia nessuno dietro Greta, che il suo disagio e la sua diffidenza per il modo in cui le istituzioni (non) affrontano la crisi climatica sono reali. E allora forse va bene anche se non riusciamo a cogliere «chi sia» Greta: alla fine sono le nostre azioni a definirci, e quelle di Greta mostrano una ragazza capace di superare la timidezza e diventare risoluta, che non vuole rassegnarsi e pronta a spendersi al cento per cento per una causa ritenuta giusta.

Una ragazza coraggiosissima, soprattutto. Quando ha iniziato la traversata dell’Oceano per andare a New York, i maligni dicevano: «Bravi tutti a non viaggiare in aereo, se ti puoi permettere una barca a vela del genere». Ma quanti sarebbero disposti a 16 anni, senza averlo mai fatto, a navigare per 14 giorni in mezzo al mare, a volte con le onde altissime, per andare a un vertice delle Nazioni unite sul clima e rivolgersi ai potenti di tutto il mondo, accusandoli apertamente di averci «rubato il futuro». D’altronde, l’ha detto anche lei, proprio in quell’iconico discorso: «Non dovrei essere qui. Dovrei essere tornata a scuola, dall’altra parte dell’Oceano», ma visto che la generazione oggi al potere continua a deludere i giovani, Greta Thunberg non ha potuto fare a meno di agire. E con lei i milioni di giovani che ha ispirato.