I pronto soccorso e l’emorragia di personale, il dottor Voza: “Così i tempi di gestione e attesa diventano insostenibili per i pazienti”

Oggi nei pronto soccorso italiani mancherebbero più di 5mila medici e 12mila infermieri. Secondo la Simeu, questa carenza sarebbe ulteriormente peggiorata a causa della pandemia e delle condizioni di lavoro stressanti, che hanno portato a un disinnamoramento rispetto alla professione.
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Kevin Ben Alì Zinati 16 Novembre 2022
* ultima modifica il 16/11/2022
In collaborazione con il Dott. Antonio Voza Segretario Nazionale Società Italiana della medicina di emergenza-urgenza

È sempre stato il loro pane, l’emergenza. I pronto soccorso degli ospedali sono il regno dell’emergenza per definizione.

Qui i medici e infermieri vengono addestrati per fare i conti con traumi multipli, feriti gravi da incidente, vittime di disastri e altre situazioni urgenti. Sono abituati a pensare in tempi strettissimi e sanno agire con freddezza e lucidità per gestire l’ingestibile. Per salvare delle vite.

Ora però i nostri pronto soccorso stanno subendo l’emergenza, colpiti ormai da tempo da una carenza estrema di personale che da ferita tamponabile sta progressivamente assumendo le forme di una vera e propria emorragia.

Una crisi che, tradotta in numeri, è fatta di oltre 5mila medici e più di 12mila infermieri mancanti tra le corsie dei ps e nelle «emergency room». Nella fotografia dell’attuale stato di salute dei nostri pronti soccorso scattata dalla Società Italiana della medicina di emergenza-urgenza tuttavia c’è di più.

Su «100» medici necessari per un buon funzionamento dei servizi, il 58% sarebbero Dirigenti e del restante 42%, circa un quarto  sarebbe rappresentato da medici non dipendenti dal SSN, inquadrati con tipologie di rapporto «atipico» (come partite iva, Medici di Continuità Assistenziale, Medici dell’Emergenza Territoriale, Medici non specialisti forniti da Agenzie di Servizi “Cooperative”).

I restanti trequarti dei professionisti mancanti non sarebbero affatto sostituti. A conti fatti, per la Simeu, mancherebbero insomma 3 medici su 10.

“La carenza di medici è nota da anni ma oggi è ulteriormente peggiorata in parte per causa della pandemia e in parte dalle condizioni di lavoro stressanti e ricche di criticità crescenti, che hanno portato a un disinnamoramento rispetto alla professione e alla scuola di specialità” ha spiegato con amarezza il dottor Antonio Voza, segretario Nazionale della Simeu, secondo cui ogni mese mediamente circa 100 medici abbandonerebbero i pronto soccorso.

Gli strascichi della pandemia sarebbero insomma ancora invadenti e impattanti: “Siamo stati i primi a subito le ondate di contagi degli anni scorsi e molti professionisti hanno accusato duramente il colpo. Il Covid-19 ha portato criticità che non sono state superate da tutti. Molti ancora non se la sentono di tornare al lavoro”.

Ovviamente l’emorragia non è uguale in tutti i pronto soccorso d’Italia. Ci sono realtà differenti con strutture colpite da carenze fisiologiche intorno al 20% del personale totale ma resta comunque una piccola e magra consolazione che non deve offuscare la vista verso il problema, le cui conseguenze finiscono per alimentare un cortocircuito estremamente pericoloso.

Molti medici di ps ancora non se la sentono di tornare al lavoro dopo la pandemia

Dottor Antonio Voza, segretario nazionale Simeu

“In pronto soccorso si creano così tempi di gestione e attesa molto più lunghi dello standard e può anche succedere che nei codici verdi ci sia qualche patologia più subdola che viene quindi diagnosticata con tempi subottimali ha sottolineato il dottor Voza.

I dati delle attività dei ps raccolti dalla Simeu raccontano, infatti, che nonostante nei pronto soccorso vengano gestiti e dimessi entro 48 ore 16.400.000 pazienti dei 20.000.000 accessi annui (quindi circa l’82% del totale), circa 2.800.000 verrebbero ricoverati in reparti ospedalieri con un tempo attesa del posto letto che quasi mai corrisponde alle 6 ore previste dagli standard internazionali. Più del 50% dei pazienti urgenti, infatti, è costretto ad aspettare non meno di 9 ore: in molti contesti locali, la media di attesa si aggira addirittura sui 3 giorni.

“C’è da considerare poi anche un fenomeno abbastanza nuovo – ha aggiunto il segretario nazionale della Simeu – In ps abbiamo 800mila pazienti che restano in carico al nostro sistema per 48 ore, più di 300mila pazienti superano invece le 72 ore. Stiamo parlando di pazienti che non vengono ricoverati poiché vengono gestiti e curati nei pronto soccorsi e quindi dimessi. Questo è un lavoro che non compete ai pronto soccorso, che sono deputati alle emergenze-urgenze”. 

In pronto soccorso si creano tempi di gestione e attesa molto più lunghi dello standard

Dottor Antonio Voza, segretario nazionale Simeu

A contribuire a questa situazione insostenibile, secondo il dottor Voza, giocherebbe un ruolo decisivo la carenza di posti letto nei reparti ospedalieri: “In un certo senso la mortalità nei ps è aumentata perché di questi 300mila che dimettiamo dopo tre giorni, ce ne sono 18mila, i cosiddetti pre-terminali, che avrebbero dovuto avere un fine vita in strutture o reparti con tipologie di assistenza adeguate. E invece, per manca di posto si trovano a passare le proprie ultime ore in pronto soccorso”. 

La recente decisione di reintegrare i medici “no vax” proprio per sopperire alla carenza di personale sanitario, tuttavia, non basterebbe secondo il dottor Voza: “È sicuramente utile ma impatterà molto poco suo nostri ps: i medici di pronto soccorso non vaccinati sono tanti. Anzi: chi ha vissuta la pandemia così da vicino non ci pensa nemmeno a non vaccinarsi”. 

All’indomani dell’insediamento del neo ministro della Salute Orazio Schillaci ha sentito l’esigenza di rinnovare l’allarme e ribadire con forza la necessità di decisioni urgenti. Nell’ultimo anno abbiamo lavorato bene con il Ministero della Salute, ottenendo risultati tangibili come il riconoscimento dell’equipollenza (dei titoli esteri) o il cambio nome di specialità: il tavolo di lavoro con il ministro Speranza è stato proficuo”.

L’imminente discesa in piazza prevista per giovedì 17 novembre non vuole, quindi, essere una protesta quanto, piuttosto, “un richiamare l’attenzione del nuovo ministro sull’attuale situazione di crisi dei pronto soccorso e continuare il lavoro svolto fino ad ora” ha concluso il dottor Voza.

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