Il segreto per affrontare la maturità? Niente notti insonni sui libri: dormire bene rafforza la memoria

Un nuovo studio pubblicato su Nature ha dimostrato che durante il sonno, i processi neurali di trasformazione di un’informazione in un ricordo lavorano di più e in maniera più efficace. Chi deve affrontare un esame, come la maturità o all’università, è bene che eviti le notti insonni sui libri e si conceda invece il giusto tempo per dormire.
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Kevin Ben Alì Zinati 18 Giugno 2024
* ultima modifica il 18/06/2024

Il segreto per affrontare al meglio gli imminenti esami di maturità? Evitare di passare le notti insonni a cercare di imparare il più possibile. Non solo non serve – perché, diciamolo, bisognerebbe studiare tutto l’anno e non solo l’ultimo mese – ma soprattutto non funziona.

Lo assicura la scienza, che ha dimostrato come dormire bene concedendosi il giusto tempo di riposo prima di un esame aiuti a rafforzare la memoria e a fissare in maniera ancora più forte le informazioni nella nostra testa.

Un gruppo di ricercatori dell’Università del Michigan e di Wisconsin-Milwaukee ha spiegato in sostanza, che il processo di memoria funziona come una finestra: una volta che è chiusa, è chiusa. E sulle pagine della rivista Nature, i neuroscienziati hanno posto l’attenzione su due aspetti: le onde "affilate" dei neuroni e, appunto, il sonno, il momento migliore per aprire la famosa finestra.

Le cosiddette “sharp-wave ripples” (o Swr) sono delle onde o increspature prodotte dal cervello nel momento in cui i neuroni si attivano interconnettendosi tra di loro di fronte a un’informazione. Vengono chiamate così perché i neuroni si attivano a gruppi e a ripetizione uno dopo l’altro seguendo un ritmo particolare, esattamente come avviene in un moto ondoso.

Le Swr hanno origine nell’ippocampo, quell’area del cervello deputata alla formazione della memoria a lungo termine, e sono determinanti per la memoria perché favoriscono la comunicazione tra questa zona del cervello e un’altra, detta neocorteccia, dove, invece, vengono successivamente immagazzinate le informazioni – divenuti ormai ricordi – sul lungo periodo.

Già altre ricerche avevano dimostrato che quando queste onde vengono disturbate creano dei problemi di memoria nei soggetti osservati, in quei casi topi. Così come era vero l’opposto: se le increspature vengono prolungate, le prestazioni mnemoniche degli animali testati mostravano netti miglioramenti.

Qui però entra in gioco anche l’altro elemento determinante, ovvero il sonno. Da tempo, infatti, la  scienza aveva notato che queste onde tendono a verificarsi in maniera molto più marcata durante il sonno. Era anche risultato chiaro che queste ore fossero determinanti per la trasformazione di un’informazione a breve termine in un ricordo forte.

Non restava insomma che testare il modo in cui questi due elementi lavorano per costruire la memoria. Così i ricercatori hanno coinvolto dei ratti in un esperimento, registrando l’attività dell’ippocampo di sette di loro durante momenti di esplorazione di labirinti creati su misura per il test.

In maniera regolare, gli scienziati interrompevano il sonno di alcuni animali e ne lasciavano dormire altri, così da avere due campioni di onde differenti, continue e interrotte. I risultati hanno confermato l’idea di partenza.

Gli animali che venivano svegliati ripetutamente avevano onde più deboli e meno organizzate e soprattutto avevano mostrato una ripetizioni degli schemi di attivazione di queste increspatura decisamente più bassa. Tradotto, significa che il sonno è una parte fondamentale della nostra vita e del processo di memorizzazione delle informazioni.

Le ore di riposo facilitano l’attivazione delle onde di neuroni, aiutano la comunicazione tra le due aree del cervello coinvolte nell’immagazzinamento di informazioni e favoriscono quindi il trasferimento delle informazioni dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine.

Fonte | "Sleep deprivation disrupts memory: here’s why" publicato il 12 giugno 2024 sulla rivista Nature

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