In.fondo.al.mar: la mappa interattiva per individuare le navi dei veleni scomparse nel mar Mediterraneo

Un progetto di giornalismo digitale che punta a mantenere alta l’attenzione su un problema sommerso eppure gravissimo. Le navi cariche di sostanze tossiche fatte affondare di proposito anni nel Mediterraneo.
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Sara Del Dot 26 Giugno 2020

Come si può far conoscere e comprendere un fenomeno reale ma nascosto? Come mantenere alta l’attenzione pubblica su un mistero sepolto in fondo agli abissi di cui difficilmente riusciamo ad avere contezza? Come rendere visibile qualcosa che è invisibile?

Sono domande complesse cui seguono risposte ancora più complesse, soprattutto se si riferiscono a un problema di salute pubblica, salvaguardia ambientale e di giustizia che, dopo decenni, è ancora opaco e da ricostruire. Come quello delle “navi dei veleni”.

Si definiscono “navi dei veleni” quelle imbarcazioni che tra gli anni ’70 e gli anni ’90 sono scomparse negli abissi del mar Mediterraneo, probabilmente fatte affondare di proposito dopo essere state caricate di materiali tossici o radioattivi (spesso ad opera della criminalità organizzata) e che ancora giacciono abbandonate sui fondali marini.

Un fenomeno ben conosciuto, sul quale sono state svolte varie indagini e anche istituite due commissioni parlamentari di inchiesta, ma della cui portata forse ancora si fatica ad avere una percezione reale. Forse perché, appunto, si trovano nascoste in fondo al mare, dove forse qualcuno spera vengano dimenticate.

Proprio per evitare che questo fenomeno finisca nell’oblio, esiste in rete uno spazio dedicato alla sua conoscenza e comprensione. Si chiama in.fondo.al.mar ed è un sito-inchiesta in continua evoluzione in cui tutti questi naufragi sospetti sono stati mappati e analizzati, in modo tale da fornire ai cittadini un quadro il più completo possibile su ciò che è accaduto nel mare che li circonda, e soprattutto sugli effetti ambientali che tutto questo potrebbe avere su acque, ecosistemi e salute.

L’obiettivo del progetto è quello di rendere disponibile alla collettività uno strumento di lettura che aiuti a presentare in modo semplice la totalità di un fenomeno complesso, attraverso l’utilizzo della mappatura digitale e interattiva.

A portarlo avanti ormai da anni, in una prospettiva di continuo aggiornamento, è il giornalista Paolo Gerbaudo, coautore assieme a David Boardman con il quale aveva in precedenza lavorato per anni su progetti di mappatura digitale delle realtà sociali. È lui stesso a parlarci di questo ambizioso lavoro digitale forte anche e soprattutto dei contributi di persone che, proprio come gli autori, vogliono far emergere la verità.

“Il caso delle navi dei veleni, o delle navi a perdere è caratterizzato dal paradosso che un problema veramente serio di inquinamento e di distruzione dell’ambiente risulta difficilmente leggibile proprio per il fatto che queste navi sono scomparse, sono state fatte sparire,” racconta Paolo Gerbaudo. “Il nostro progetto è partito nel 2009, quando facemmo un’inchiesta sul manifesto con altri giornalisti per capire cosa accadeva effettivamente sulle navi dei veleni. Io personalmente mi occupai di studiare l’archivio dei Lloyd’s di Londra, dove sono presenti tutti i moduli delle navi che hanno avuto incidenti. Ciò che emergeva era innanzitutto una serie di anomalie statistiche, a partire dalla concentrazione di incidenti navali in determinati anni ben sopra la media generale, e anche il fatto che molti di questi affondamenti si concentravano in zone particolari, magari caratterizzate da fondali profondi oppure controllate dalle organizzazioni criminali, in particolare la ‘ndrangheta che su questo traffico era molto attiva.”

A questo poi è seguita la mappatura digitale, un sito cui chiunque sappia qualcosa può apportare un contributo per consentire alla verità di riemergere.

“L’obiettivo del sito è tenere viva l’attenzione su questa vicenda e aprire un dibattito, un invito alla collaborazione a tutti i cittadini che abbiano informazioni su questi incidenti. Da quando abbiamo lanciato il sito ci sono arrivati diversi messaggi da attivisti in Calabria, esperti che si occupano di questi temi e che vogliono dare una mano a espandere questa documentazione e aggiungere più dettagli… Vogliamo creare memoria e una documentazione condivisa della vicenda affinché non venga sepolta come è successo troppo spesso con altri misteri italiani, ma continui a essere oggetto di indagine.”

E le sostanze a bordo delle navi?

“Cinque navi in totale hanno presentato prove di un possibile scarico illegale di sostanze radioattive come ad esempio il torio, di cui sono state trovate tracce su alcuni container recuperati. Chiaramente non è possibile avere la certezza assoluta sul contenuto effettivo, che potrebbe avvenire solo a seguito di un’effettiva ispezione sul carico della nave. Al momento c’è solo un sospetto legittimo. Su altre navi invece erano presenti carichi chimici che sono stati rilasciati in mare danneggiando l’ambiente. Altre navi ancora sono state accusate di aver volontariamente buttato container in mare per sbarazzarsi del loro contenuto. Questo solleva la necessità di fare chiarezza su pratiche illegali avvenute per decenni e fare in modo di fare giustizia su questa cosa e fare in modo che non si ripeta mai più”.

Una giustizia che in molti casi ancora fatica ad arrivare, perché il recupero e quindi l’analisi delle prove a disposizione è molto complicato, nonostante il danno ambientale potrebbe essere devastante.

“Del potenziale danno ambientale non possiamo conoscere l’entità finché non sarà effettuata una verifica o indagine che vada a scovare queste navi sul fondo del mare, ma un carico radioattivo sepolto sul fondo del mare a poche miglia di distanza dalla costa è una cosa preoccupante che una verifica dovrebbe meritarsela.”