Inquinamento atmosferico: in Italia tira una brutta aria, ma ci sono anche delle buone notizie

Lo scorso 1 dicembre è stato presentato online il primo rapporto nazionale sulla qualità dell’aria, realizzato dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa). Nel decennio di riferimento 2010-2019 si registra un calo sia del particolato (Pm2.5 e Pm10) sia del biossido di azoto, ma sono ancora troppi gli sforamenti dei valori limite, soprattutto nella pianura padana.
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Federico Turrisi 3 Dicembre 2020

Come è noto, l'Italia sta collezionando procedure di infrazione per il reiterato superamento, in diverse aree del territorio nazionale (e in particolare nella pianura padana), dei valori limite riguardanti la concentrazione degli inquinanti fissati dalla direttiva europea sulla qualità dell’aria. Insomma, pare proprio che non riusciamo a contrastare in maniera efficace il problema dell'inquinamento atmosferico. Ma che cosa dicono i dati scientifici a nostra disposizione? In realtà qualche piccolo passo in avanti lo stiamo facendo, come emerge dal primo rapporto nazionale sulla qualità dell’aria, a cura del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa).

Si tratta di un documento molto dettagliato (di quasi 600 pagine), dove viene analizzato il quadro italiano, oltre che regione per regione, nel decennio 2010-2019. "I dati ci danno la conferma di un trend in diminuzione per le concentrazioni di biossido di azoto (NO2) e di particolato (Pm2.5 e Pm10). Una riduzione lenta ma continua, al netto delle naturali oscillazioni legate alle condizioni meteorologiche", ha ribadito il presidente di Ispra e di Snpa Stefano Laporta. "I superamenti del valore limito giornaliero delle polveri sottili nel 2019 hanno interessato ancora il 22% dei punti di misura della rete di monitoraggio, ma nel 2010 eravamo oltre il 40%".

Nel dettaglio, vediamo che, per quanto riguarda il Pm10, nel 2019 il valore limite giornaliero, pari a 50 microgrammi per metro cubo, è stato superato in 111 stazioni di rilevamento (22% dei casi), e l'89% degli sforamenti si è registrato nel bacino padano. Per quanto riguarda invece il biossido di azoto, l'anno scorso il valore limite annuale, pari a 40 microgrammi per metro cubo, è stato oltrepassato in 30 stazioni (5%). I numeri più allarmanti riguardano però l'ozono (O3): l’obiettivo a lungo termine per la protezione della salute umana (Olt) è stato superato a livello nazionale in 296 centraline di monitoraggio su 322, pari al 92% delle stazioni con copertura temporale sufficiente. In 179 stazioni (56%) l'Olt è stato superato per più di 25 giorni.

I benefici del lockdown

Mettiamo subito in chiaro le cose: a nessuno piace il lockdown, termine che abbiamo purtroppo imparato a conoscere molto bene. Ma se diamo uno sguardo ai dati relativi alla qualità dell'aria durante la scorsa primavera, c'è davvero da farsi qualche domanda. Noi sappiamo che la principale fonte antropica degli ossidi di azoto è il traffico su strada. Ebbene, tra marzo e maggio, per via delle misure restrittive adottate per contenere la diffusione del coronavirus SARS-CoV-2, si è registrata una drastica riduzione dei flussi veicolari, a cui è corrisposta una diminuzione media del biossido di azoto intorno al 40%, con punte addirittura del 70%.

Gli esperti allora, nell'ambito del progetto Life Prepair, si sono posti una domanda: come cambierebbe l'inquinamento atmosferico in Italia se si verificassero per un anno le stesse condizioni del lockdown della scorsa primavera? Il biossido di azoto calerebbe tra il 15% e il 35%, mentre il Pm10 tra il 2% e il 10%. Numeri che fanno riflettere.

Senza necessariamente imporre un blocco totale della macchina produttiva, per respirare un'aria più pulita non potremmo ridurre il numero dei mezzi privati in circolazione potenziando il trasporto pubblico locale? Non potremmo svecchiare il parco auto favorendo la transizione verso l'elettrico? Non potremmo investire fin da subito sull'efficientamento energetico degli edifici? Se la classe politica è in ascolto, batta un colpo.