Insegnare giocando, la sfida di Carlo che lavora tra scuole e giochi da tavolo

Se non indicato espressamente, le informazioni riportate in questa pagina sono da intendersi come non riconosciute da uno studio medico-scientifico.
Carlo Meneghetti di lavoro fa il ludo stategist, una professione divertente e interessante allo stesso tempo. Ogni giorno cerca di sviluppare la creatività e di educare le persone dando loro benessere attraverso il gioco. Tutto è iniziato dalla passione per le costruzioni e per le attività all’aria aperta. Ecco la sua storia.
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Emanuele La Veglia 24 Marzo 2021

Gioco e lavoro, due cose che ti sembreranno sicuramente diverse e distanti. Eppure c'è chi nella sua quotidianità le unisce: Carlo Meneghetti è un ludo strategist, cerca cioè di far emergere la creatività in vari luoghi, prima nelle aziende ora nelle scuole, con i professori. In che cosa consiste la sua professione? Non si tratta di qualcosa di complicato, anzi è un'attività che si può trasmettere persino a un bambino piccolo.

"Gli direi di prendere un oggetto – racconta Carlo – e di pensare a come utilizzarlo per giocare con un suo amico. Il passo successivo è dare un nome a tutto ciò e continuare a usarlo. Far provare le persone è la migliore delle spiegazioni". E per dimostrare questa teoria ha deciso di dirci qualcosa in più della sua storia.

Come nasce la tua passione spiccata per il mondo del gioco?

Ha sempre fatto parte del mio quotidiano sin dall’infanzia. In cucina avevo un angolo pieno di costruzioni, macchinine, libri illustrati, colori e album. Mi piaceva immergermi nelle storie dei cartoni animati e ridisegnarle, cambiando le scene e le scelte dei protagonisti. Anche i giochi fuori casa erano immancabili, soprattutto durante la primavera e l’estate. La fortuna di abitare in campagna mi permetteva di utilizzare attrezzi agricoli: zappe, martelli, cacciaviti diventavano “oggetti” magici per le mie fantasiose narrazioni.

Quando hai capito che questo tuo interesse poteva diventare un lavoro?

Durante il periodo dell’adolescenza, nel momento in cui ho iniziato a fare animazione in oratorio. Ho osservato come il gioco può essere “una chiave” per intercettare gli altri e per affrontare tematiche importanti. Un altro impulso mi è stato dato dall’università, durante le lezioni di pedagogia, tenute da una docente che utilizzava il gioco come filo conduttore: lì ho scoperto altre prospettive, approfondendo l’aspetto più teorico di questo affascinante universo. Nel 2018 mi sono regalato un corso di game design a Milano, arrivando a pubblicare due giochi in scatola, l'anno successivo, sulla scrittura creativa.

La tua attività ti porta a fare formazione, come si svolge?

Ovviamente dipende dai destinatari, ad ogni modo cerco sempre di intervallare teoria e gioco per far apprendere concetti difficili e farli propri. Nell’ultimo periodo mi sto occupando soprattutto di formare i docenti, con l’obiettivo di valorizzare l'esperienza del gioco, dalla spiegazione alla valutazione. Ad esempio a Lucca, nel luglio del 2019, ho trattato di cyberbullismo andando concretamente a progettare, costruire e testare tre giochi in scatola, tutti personalizzabili.

Cosa ti regalano le persone che incontri?

Una volta la mia narrazione è partita dal filò, una tradizione contadina che vedeva le persona ritrovarsi la sera nelle stalle per ricordare insieme la giornata passata. Le persone che mi ascoltavano erano intorno ai 75 anni. Partendo dalla storia di cui ti dicevo, ho chiesto di pescare alcune carte illustrare e usarle per descriversi e dire qualcosa di sè. Così tutti sono riusciti a tornare indietro nel tempo e questo ha permesso loro di guardare con occhi nuovi al presente e di conoscersi tra loro in maniera diversa. Pensa che le loro vite si sono concatenate in modo inaspettato! Molti alla fine avevano gli occhi lucidi.