Intervista al rifiutologo Roberto Cavallo: “Oggi le plastiche sono diventate il nemico numero uno”

Meno polimeri utilizzati nella produzione, meno pigrizia negli acquisti, più attenzione nella differenziata. Gli accorgimenti da adottare per combattere il problema “plastica” sono tanti, e coinvolgono tutte le parti in gioco. Dai produttori, ai consumatori, fino alle istituzioni politiche e comunitarie. Perché se ciascuno facesse la propria piccola parte, la plastica potrebbe tornare a essere un valore e non soltanto il male assoluto. Roberto Cavallo ci ha spiegato perché.
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Sara Del Dot 29 Aprile 2019

Ottimista di natura, Roberto Cavallo si occupa di ambiente da tutta la vita. Divulgatore ambientale, sportivo, eco-runner, è l’ideatore della Keep Clean and Run (pulisci e corri), la maratona di plogging finalizzata a sensibilizzare sul tema dei rifiuti, che il 4 maggio lo vedrà percorrere tutto il Po, dal Moviso fino a Porto Tolle, raccogliendo i rifiuti che trova lungo il suo percorso. È a lui che ci siamo rivolti per capire meglio in che modo il problema “plastica” dovrebbe essere affrontato, sia a livello di produzione che di gestione da parte dei cittadini e consumatori.

Noi produciamo una quantità infinita di rifiuti plastici ogni giorno ma sembra che molti cittadini ancora facciano fatica a capire come vadano gestiti. Qual è secondo lei il problema principale?

La plastica, o meglio, le plastiche, sono materiali estremamente utili, basti pensare alle valvole cardiache o ai mezzi di trasporto che usiamo tutti i giorni. Tuttavia oggi sembrano rappresentare il male assoluto, anche se in realtà il “male” deriva da un loro cattivo uso e da una mancanza di attenzione da parte nostra. Tutto questo richiama un concetto al quale tengo molto, che è il concetto di “corresponsabilità”. Se oggi le plastiche sono diventate il nemico numero uno, è perché ciascuno di noi ha un proprio pezzo di responsabilità: se ne producono troppe, se ne producono utilizzando troppi polimeri, la usiamo in modo superficiale e indiscriminato perché costa poco ed è leggera, ce ne disfiamo senza interessarci su dove andrà poi a finire.

Per fare un esempio concreto, se durante un congresso a ciascun partecipante viene data una biro in plastica che costa qualche centesimo e alla fine dell’evento ce la dimentichiamo sulla poltroncina, non ci facciamo particolarmente caso. Eppure abbiamo appena abbandonato un tappo in plastica, un tubetto in plastica, un serbatoio per inchiostro in plastica. Tutti elementi che usiamo con molta superficialità e di cui poi ci disfiamo. Se sommiamo tutti questi gesti, è facile capire come un prezzo basso sia collegato a una bassa attenzione, e tutto questo comporta un grande accumulo.

Cosa si potrebbe fare per migliorare l’approccio al rifiuto plastico, a livello di produzione?

A livello di produzione bisognerebbe innanzitutto diminuire la quantità di polimeri utilizzati nella realizzazione degli oggetti pensando, mentre produco una cosa, che questa possa in futuro essere riutilizzata. Al momento non è affatto così. Pensiamo alle confezioni di affettati e formaggi da banco nei supermercati. Quelle vaschette contengono dai 6 ai 12 tipi di plastiche diverse, necessarie per fare in modo che l’alimento si conservi bene con il giusto grado di freschezza, che sia impermeabile ai gas e a certi tipi di luce… Sono confezioni costruite in questo modo perché chi le ha realizzate aveva come obiettivo la corretta conservazione del prodotti, ma mai nessuno ha imposto, prima della produzione, che quei materiali dovessero essere riciclabili. Quindi il consumatore compra, apre, getta via la vaschetta in modo corretto nella raccolta differenziata, ma quando questa arriva ai centri di selezione per il riciclaggio non viene avviata a riciclo perché è troppo complessa. Il problema quindi potrebbe riassumersi in un cattivo design del materiale perché non tiene in conto del suo fine vita. Il lato positivo in tutto questo è che il futuro richiede sempre di più un eco-design, ovvero un design che preveda che quel materiale possa essere riciclato.

E noi cittadini cosa sbagliamo e cosa dovremmo fare di più?

Il singolo consumatore si è fatto incantare dalle sirene della comodità. La maggior parte di noi, quando è al supermercato non fa la coda al banco della gastronomia ma prende e scappa, facciamo la festa per i nostri figli e compriamo piatti, bicchieri e posate in plastica perché non abbiamo voglia di fare la lavastoviglie e buttiamo tutto in un sacco, compriamo l’acqua in bottiglia perché pensiamo che sia migliore di quella del rubinetto… Come consumatori dovremmo fare un po’ più di attenzione già al momento dell’acquisto, comprando meno plastica e abbracciando le alternative. Inoltre, spesso facciamo male la raccolta differenziata della plastica. Perché non la separiamo bene, a volte la gettiamo nell’indifferenziato, e cosa più importante, buttiamo nella plastica tutto ciò che materialmente è di plastica, senza pensare o sapere che noi potremmo gettare nel sacco della plastica soltanto gli imballaggi. Ad esempio, i giocattoli dei bambini sono in plastica, ma non sono imballaggi. E così anche le palette per l’immondizia, secchi e bacinelle per il bucato… È un errore molto frequente, che provoca un deprezzamento generale della qualità dei rifiuti plastici. La plastica differenziata che consegniamo, di conseguenza, non viene pagata quanto dovrebbe, perché presenta delle impurità.

L’economia circolare può essere una soluzione?

L’economia circolare intesa come raccolta differenziata e riciclo è un pezzo di risposta. Oggi ci sono dei polimeri plastici in cui la raccolta separata e il riciclo sono una soluzione, anche perché quel polimero è facilmente trattabile. Ad esempio, la cassetta da ortofrutta di polipropilene e l’imballo dell'ovetto di cioccolato, sono oggetti che si possono raccogliere separatamente, tritare, ristampare e si inseriscono perfettamente in un’ottica circolare. Così come il polietilene, per cui il secchio e la bacinella possono essere raccolti separatamente nei centri comunali di raccolta e riciclati. Già le bottiglie di plastica, che sono in PET, polietilene tereftalato, creano qualche problema perché non sempre si riescono a recuperare bene, la molecola chimica degli ftalati è inquinante e non va dispersa nell’ambiente, e soltanto da poco possono essere riciclate per fare altre bottiglie, prima venivano trasformate in pile. La circolarità quindi non è sempre così facile e immediata. Poi ci sono casi in cui proprio non si può fare, come per i materiali composti da tanti polimeri diversi. Ma l’economia circolare è anche e soprattutto prevenzione e ottimizzazione dei processi.

Quindi quali sono i punti su cui bisogna concentrarsi di più?

Oggi per quanto riguarda le plastiche bisogna tenere a mente principalmente due cose da fare: la prima è uscire dalla logica dell’usa e getta, che è una logica che non va bene in generale, neanche per la carta, il vetro o l’alluminio. Bisogna limitare al massimo questa pratica, fino ad annullarla. In secondo luogo bisogna far sì che le molecole plastiche utilizzate siano riciclabili e riusabili. Ci vuole un po’ di buon senso. Se invece di un piatto usa e getta uso uno più spesso ma durevole e lavabile in lavastoviglie, ho comunque una soluzione per, ad esempio, le feste dei bambini, ma non sto producendo una montagna di rifiuti. Poi, una volta che il piatto durevole non è più lavabile e riusabile, allora lo riciclo inserendolo in un percorso di economia circolare.

Nella direttiva europea contro la plastica monouso non sono stati inclusi i bicchieri usa e getta. C’è una ragione?

Beh sicuramente non è una dimenticanza, c’è una logica per questa scelta. Diciamo che il bicchiere oggi risponde a una logica di consumo ritenuto dal legislatore un po’ più importante. Per capirci, bere è più importante di mangiare. È stata una scelta dettata dalla necessità. Io sono dell’idea che quando elimini i piatti e le posate tendenzialmente elimini anche i bicchieri. La sensibilità del consumatore indurrà a un abbandono progressivo del bicchiere. Ad esempio, già oggi nelle gare di corsa in montagna non ci sono più i bicchieri di plastica, ciascuno ha la propria borraccia. Credo si proseguirà in questa direzione.

Lei pensa che oggi ci sia una maggiore consapevolezza riguardo il fatto che il cambiamento deve partire anche dal singolo individuo?

Sicuramente c’è più sensibilità rispetto a una volta, e a volte questa sensibilità porta a pensare che il mondo sia più inquinato di prima. Essendoci più consapevolezza, avvertiamo di più il rischio. E poi anche i problemi cambiano. Ad esempio, le acque sono meno inquinate, però troviamo un grammo di cocaina ogni mille abitanti nei fiumi di Londra. Quindi siamo giustamente preoccupati, timorosi per il nostro futuro, per il futuro dei nostri figli. Ma non bisogna farsi scoraggiare, il rischio è quello di pensare che sia tutto inutile, impossibile. È fondamentale che ognuno di noi abbia la consapevolezza che anche un gesto piccolo, con determinazione, diventa fondamentale se aggiunto a tanti altri. Guai a essere disperati, a pensare che un nostro gesto non serva a nulla. Non è così, anzi, è importante che ognuno di noi faccia qualcosa nel proprio piccolo mondo, nel proprio pezzo di responsabilità. Così è possibile cambiare le cose.